ECONOMIA e FINANZA
Comunicato Stampa

Il reato di falso in bilancio. Prospettive di riforma ed emendamenti fantasma

26/02/15

Dalla loro ultima riforma, operata dalla Legge 28 dicembre 2005, n. 262, molto si è discusso sui reati previsti e puniti dagli artt. 2621 e 2622 c.c.. Mai è stata tollerata l’attuale formulazione che, a detta dei critici, non era finalizzata ad altro che a svuotare i reati di falso in bilancio di ogni significato, rendendone di fatto meramente residuale l’applicazione e l’efficacia deterrente.

FotoPer tali ragioni la riforma delle fattispecie incriminatrici in esame è auspicata fin dal giorno successivo all’entrata in vigore delle stesse.

Malgrado le critiche, tuttavia, l’iter legislativo necessario ad apportare le modifiche sperate risulta essere più faticoso del previsto, tanto che il Disegno di Legge Grasso recante “Disposizioni in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio”, presentato in Senato il 5 marzo del 2013, è ancora all’esame della Commissione Giustizia, bloccato da una pioggia di emendamenti che continuano a susseguirsi incessantemente.

Il Disegno di Legge prevede una riconfigurazione dei reati di falso in bilancio che parte dalla definizione di un nuovo ambito applicativo e delle previsioni degli artt. 2621 e 2622 c.c.. Le due norme, attualmente rubricate rispettivamente “False comunicazioni sociali” e “False comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori”, saranno modificate in “False comunicazioni sociali” e “False comunicazioni sociali nelle società con titoli quotati o diffusi tra il pubblico in maniera rilevante” e andranno a punire identiche condotte, a seconda che dalle stesse possa o meno discendere un pericolo per la tutela dell’affidamento del pubblico e, in particolare, dei risparmiatori nella veridicità delle proiezioni economiche pubblicate.

Ormai una settimana fa, un comunicato ANSA ribattuto dalle principali agenzie di stampa ha diffuso la notizia di un ritrovato accordo tra le forze di Governo sulla rimodulazione dei reati in esame e dell’imminente presentazione di un nuovo emendamento. Si tratterebbe, in realtà dell’ennesimo cambio di rotta che va ad aggiungersi ad una serie tanto lunga e rapida di proposte modificative da non consentire, in alcuni casi, neppure a trovare un’opportuna formalizzazione. Ad oggi, infatti, il testo concordato non è ancora stato depositato in Commissione Giustizia e non si conosce con esattezza l’attendibilità delle informazioni in circolazione.

A quanto pare, il nuovo – e definitivo? – testo dell’art. 2621 c.c. che il Governo intende sottoporre all’approvazione delle Camere dovrebbe apportare alcune innovazioni sostanziali, volte a conferire maggior rigore alla fattispecie prevista e a garantirne un più esteso ambito applicativo.

La modifica più rilevante, o perlomeno la più discussa, dovrebbe consistere nell’eliminazione delle soglie di variazione del risultato economico o del patrimonio netto attualmente previste come criteri applicativi della condizione di non punibilità.

Attualmente l’art. 2621 c.c. prevede, infatti, che “la punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento”.

In caso di approvazione del nuovo testo, al contrario, il reato resterebbe sempre punibile, indipendentemente dal quantum di falsità rappresentato. Sarebbe sufficiente una qualsiasi manipolazione delle scritture fatto salvo il caso in cui la stessa non determini “un’alterazione sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene”.

Da quanto è trapelato, altra modifica di entità rilevante dovrebbe essere costituita dalla differenziazione delle pene applicabili in base alle dimensioni dell’impresa interessata dal reato.

Elemento distintivo dovrebbe essere basato sul volume di affari della società nel cui ambito si perpetra l’illecito. In particolare pare che ai soggetti che pongono in essere le condotte descritte all’interno del nuovo art. 2621 in realtà economiche con un fatturato inferiore ai 600 mila euro – soglia che peraltro pare essere ancora controversa – si applicherà la pena della reclusione da 1 a 3 anni, mentre nel caso in cui la società a cui la scrittura contabile si riferisce superi tale soglia, l’autore del reato sarà soggetto alla reclusione da 2 a 6 anni.

L'obiettivo di questa differenziazione, stando a quanto si legge all’interno del comunicato ANSA, sarebbe quello di colpire in misura inferiore le società più piccole, “che sono maggiormente esposte a errori e soprattutto non sempre dispongono sempre al proprio interno di tutte le competenze tecniche delle società più grandi”.

Tuttavia l’applicazione di due regimi sanzionatori diversi per l’autore del reato – che è e resta la persona fisica e non l’ente interessato dal falso – a seconda della realtà in cui lo stesso si trova ad operare, a parità di condotte e senza tener conto della gravità del fatto e del maggior o minore disvalore penale dello stesso, suscita non poche perplessità e dovrà valutarsi la formulazione letterale dell’emendamento per comprendere se sia o meno compatibile con i princìpi cardine dell’ordinamento penale.

La motivazione riportata nel comunicato ANSA non pare inoltre essere convincente in quanto la qualificazione come delitto delle fattispecie in esame, comporta la necessità che il reato sia commesso con dolo e, quindi, presuppone che l’autore ponga in essere l’alterazione delle scritture contabili con consapevolezza e volontà, restando il reato escluso in caso di errore.

Tra le altre novità che dovrebbero essere contenute nel testo dell’emendamento del Governo vi è la perseguibilità d’ufficio di tutti i reati in esame. Modifica che pare dettata più dall’esigenza di accontentare le istanze giustizialiste che non da un’effettiva utilità, atteso che, salvi i casi delle società per cui la pubblicazione del bilancio e delle relazioni periodiche è obbligatoria, un’alterazione delle scritture contabili perpetrata in società di piccole e medie dimensioni resterebbe difficile da identificare in assenza di specifica segnalazione o di “particolare” interesse da parte dell’Autorità Giudiziaria nei confronti di una determinata impresa o di un determinato imprenditore.

Altra modifica che pare sarà portata dall’emendamento del Governo riguarda l’eliminazione della condizione di non punibilità in caso di alterazione determinata da valutazioni estimative che differiscano non più del 10 per cento da quella corretta.

Una previsione simile rischia di comportare gravi problematiche e di mettere seriamente a repentaglio il principio di certezza del diritto. Le valutazioni estimative, come si evince chiaramente dal loro nome, si caratterizzano per un intrinseco margine di discrezionalità. Esperti diversi che fossero chiamati a valutare una medesima situazione, pur adottando buone prassi e criteri standardizzati, finirebbero inevitabilmente per giungere a valutazioni diverse. Proprio per questo, era stata prevista una condizione di non punibilità che mirasse a tutelare tali differenziazioni in tutti i casi in cui le stesse non comportassero gravi scostamenti e l’abolizione della stessa sembra potersi prestare ad essere strumentalizzata per esporre a contestazione qualsiasi scrittura contabile.

Si attende, invece, ancora di conoscere se l’emendamento del Governo finirà o meno per interessare anche la determinazione delle sanzioni pecuniarie previste dall’art. 25-ter del D. Lgs. 231/2001 per le società nel cui interesse o a cui vantaggio sia commesso il falso in bilancio.

Per ora le proposte all’esame della Commissione Giustizia prevedono di modificare le sanzioni pecuniarie, in caso di commissione del reato di cui all’art. 2621 c.c., portando la forchetta da 200 – 300 quote a 200 – 400 quote e, in caso di commissione del reato di cui all’art. 2622 c.c., da 300 – 800 quote a 400 – 600 quote. Forse sarebbe proprio questo il tema da rivedere più attentamente visto che, alla luce dell’esiguità delle pene attualmente vigenti e della conseguente scarsa efficacia deterrente delle stesse, modifiche così limitate, oltre a risultare in contrasto con l’intero spirito della riforma, sembrano del tutto inutili in un’ottica penal preventiva come quella che dovrebbe permeare l’ambito applicativo della responsabilità amministrativa degli enti.



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