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Incentivi alla rottamazione, quando è auspicabile?

13/05/13

Era l’11 febbraio 2013, quando Benedetto XVI, con un grande gesto di straordinaria modernità si faceva da parte, dimostrando che non esistono incarichi a vita di tipo illimitato.

Era l’11 febbraio 2013, quando Benedetto XVI, con un grande gesto di straordinaria modernità si faceva da parte, dimostrando che non esistono incarichi a vita di tipo illimitato e insegnandoci che se si dimette il Papa dalla carica, tutto trova un limite temporale.
Episodio molto recente in tale direzione è il passaggio dello “scettro” in Olanda: la corona degli Orange-Nassau passa sul capo di Willem-Alexander. A 46 anni, Guglielmo IV, diventa il sovrano più giovane, un primato che deve al gesto di "autorottamazione" della madre Beatrice. È stata infatti la regina, a decidere di abdicare lo scorso gennaio. "Non lascio perché sono stanca del ruolo - ha detto la regina - ma perché sono convinta di doverlo trasmettere a una nuova generazione".
La regina nel suo ultimo discorso alla nazione, in veste di capo di Stato, ha espresso chiaramente la sua volontà di sostegno alla coppia reale e ha incitato la popolazione a fare altrettanto. “è mio profondo desiderio che la nuova coppia reale si senta sostenuta dalla vostra calorosa fiducia", ha detto. "Sono certa - ha aggiunto - che Guglielmo-Alessandro si applicherà con la vera devozione che ogni buon re è tenuto ad avere".
E questo forse è il segno più tangibile di un mondo che sta cambiando?
Anche in politica l’istituto dell’abdicazione dovrebbe trovare maggiore applicazione ed è quanto negli ultimi mesi, con modalità diverse è stato a gran voce chiesto da alcuni esponenti appartenenti ai diversi schieramenti politici con l’utilizzo di slogan più o meno incisivi: “rottamiamoli”o “tutti a casa” per esprimere un unico concetto: voglia di rinnovamento! Voglia di abolire questi metodi di fare politica, ma soprattutto voglia di abolire politici a “tempo indeterminato”. Del resto se l’idea del posto fisso (come suggeriva il ministro Fornero) non esiste più, ma occorre essere pronti ad accettare un’idea di maggiore flessibilità non vedo perché questo stesso concetto non debba valere anche per chi fa il politico di professione; viene da chiedersi allora se questo attaccamento alla poltrona non nasconda una “paura” di perdere una serie di vantaggi e benefit annessi al ruolo o se più semplicemente trattasi di consapevolezza di una reale mancanza di competenze spendibili in altri contesti. Aldilà delle riflessioni che si potrebbero fare in merito,non opportune in questa sede, le storie citate seppur diverse, hanno alla base un comune denominatore: Voglia di cambiamento e di rinnovamento della classe dirigente. Voglia di riporre fiducia nelle nuove generazioni, di dar loro maggiore spazio nella convinzione che la complessità organizzativa dei mercati richieda coraggio, slancio, energia e creatività che comunemente si ritiene appartengano maggiormente ai figli, piuttosto che ai padri tendenzialmente più conservatori e meno pionieristici o meno propensi ad abbandonare il “trono”.
E allora perché non estendere questo concetto anche alle aziende? Perché non fare del passaggio generazionale un‘occasione per dare nuovo slancio all'organizzazione? Perché non anticipare questo momento?
Anche un’organizzazione (indipendentemente dalla sua forma giuridica) deve sapere leggere il suo ambiente di riferimento e preparare nei tempi e nei modi il terreno per avviare un processo di passaggio del “testimone”. il vertice deve cioè capire quando è il momento giusto per lasciare la guida- nella consapevolezza che l’esperienza maturata da sola non basta più- Spesso - come ampiamente dimostrato da storie di successo- l’esperienza, seppur necessaria, non è sufficiente a innescare quel processo che permette a un’intuizione di trasformarsi in un’idea di business, o ancora ad approcciare a mercati fino ad ora inesplorati. Infatti, se è pur vero che l’età è sinonimo di saggezza non sempre ad essa si accompagna quella apertura mentale che permette ad esempio, di cogliere le nuove opportunità offerte dalla tecnologia e di apprenderne con facilità il loro utilizzo per scarsità di competenze specifiche, o per mancanza di coraggio o per resistenze culturali.

Il passaggio del testimone in chiave direzionale è non solo auspicabile ma forse oggi più che mai proprio necessario! Tuttavia necessita di una accurata pianificazione e gestione affinché la potenziale “minaccia”- che si nasconde dietro ogni incertezza e che soppianta la rassicurante “via vecchia”- si possa tradurre in un’opportunità di nuovo slancio e vitalità per le organizzazioni. In altri termini è necessario intraprendere un percorso che preveda la collaborazione tra il vecchio e il nuovo ove il primo avvii anticipatamente un processo supportivo per agevolare il passaggio, favorendo, al manager che subentra, la possibilità di ottenere fiducia e accettazione.
Pertanto il processo di passaggio generazionale deve essere integrato in un processo di cambiamento di più ampio respiro che coinvolga l’organizzazione nel suo complesso e le risorse che vi appartengono. Più specificatamente occorre:
- prevedere almeno un momento di verifica e, quindi, se necessario un cambiamento “adattativo” del modello di business che caratterizza l’azienda. Tale modello, infatti, potrebbe essere fortemente personalizzato sulla figura e sulle esperienze del manager uscente e mal si adatta, talvolta, alle caratteristiche del dirigente che dovrebbe subentrare nella gestione dell’azienda;
- un elevato coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti;
- estrema chiarezza nella definizione degli obiettivi nel breve e medio termine, nonché l’utilizzo di un approccio fortemente legato a precisi obiettivi temporali.

Questo processo, adeguatamente pianificato e gestito in maniera integrata potrà portare dei benefici sull’organizzazione nel suo complesso e soprattutto garantirne la continuità; diversamente se ne vengono sottovalutate le criticità, potrà anche portare al declino dell’impresa stessa.
Infatti la storia abbonda di esempi di leader che hanno abdicato in favore di altri, ma quasi sempre si è trattato di casi in cui l’atto dell’abdicare è stato vissuto come un obbligo, come l’ultima spiaggia, più per volontà del nemico che per reale consapevolezza che il proprio agire non rispondesse più alle reali necessità del contesto, quanto alla smania di potere individuale.
Basti pensare a Napoleone primo che in seguito alla sanguinante e disastrosa campagna di Russia (totalmente fallimentare per le forze napoleoniche che vennero brutalmente ricacciate indietro a seguito oltretutto di migliaia di perdite), fu costretto ad abdicare in favore di suo figlio e a rinunciare alla totalità dei suoi poteri. Dopo essere stato costretto all’esilio Napoleone riuscì però a rientrare in Francia nel Marzo 1815 dove, sostenuto dai Liberali, conoscerà un secondo ma breve Regno conosciuto sotto il nome di "Regno dei Cento Giorni". La nuova e riconquistata gloria non durerà a lungo: presto le illusioni di ripresa verranno cancellate dal disastro seguito alla battaglia di Waterloo, ancora una volta contro gli inglesi. La storia si ripete, dunque, e Napoleone deve nuovamente abdicare al suo ripristinato ruolo di Imperatore il 22 Giugno1815. Il 5 maggio 1821, quello che è stato indubbiamente il più grande generale e condottiero dopo Cesare si spegne solo e abbandonato sull'isola di Sant'Elena, sotto la sorveglianza degli inglesi a testimonianza di quanto possano essere pericolose e controproducenti certe “imprese” quando hanno come unico obiettivo la conservazione del proprio status e del potere che ne deriva. Quindi, nell’agire manageriale, occorre accettare l’idea che è fisiologico “dimettersi” e capire in maniera strategica quando le condizioni sono mature per avviare questo processo di cambiamento perché il proprio tempo è finito! Non hai più il colpo in canna


Link di approfondimento: processo di passaggio generazionale



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