ECONOMIA e FINANZA
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La vittoria di Marchionne a Mirafiori.

16/01/11

E' una vera vittoria?

LA VITTORIA DI MARCHIONNE A MIRAFIORI
di Raffaele Pirozzi e Giuseppe Biasco


Nel giro di soli sei mesi e mezzo, i due stabilimenti Fiat più importanti del nostro paese, sono stati interessati da consultazioni generali dei lavoratori che sono stati chiamati ad esprimersi con un referendum sulla proposta dell’Amministratore Delegato Marchionne, di ristrutturazione degli impianti, di introduzione di nuove produzioni, insieme a nuove regole contrattuali ed a nuove condizioni di lavoro, sicuramente peggiorative di quelle in vigore fino ad oggi nella Fiat.
Nel referendum di Pomigliano, che si tenne il 22 Giugno del 2010, i risultati furono i seguenti: su 4881 aventi diritto votarono in 4642; il 94%; per il “SI” si espressero in 2888, pari al 63%; mentre per il “NO” votarono 1673 lavoratori; il 36%, nello stabilimento di Nola, furono 77 i “SI, mentre furono 273 i “NO”.
I risultati di Mirafiori sono ancora più significativi: hanno votato il 94,6% degli aventi diritto, di questi 2735, il 54%, hanno detto “SI” all’accordo, mentre 2325, il 46%, si sono espressi per il “NO”. La vittoria dell’azienda e dei sindacati firmatari dell’intesa è netta, è inutile esercitarsi con calcoli ipotetici sul voto degli impiegati che nel caso di Torino sono risultati determinanti; gli impiegati sono anche loro dei dipendenti della Fiat e devono esprimersi come tutti gli altri. Il semplice dato che ben 20 dei 441 impiegati hanno votato per il “NO”, è un risultato a sorpresa che deve far riflettere; forse troppo presto si era dato per scontato la loro totale adesione agli interessi dell’azienda, forse una maggiore attenzione a questa categoria poteva portare a risultati diversi.
Tra i due referendum, simili nella sostanza e nelle modalità di attuazione, mentre Marchionne usciva dalla Confindustria ed il ricatto occupazionale si è fatto molto più grande, si è verificato un fenomeno sociale poco indagato e che andrebbe perlomeno segnalato: il voto contrario di migliaia di lavoratori. Nei diversi impianti in cui si è votato sono stati 10052 i lavoratori che hanno espresso il proprio voto. Di questi 4271, il 42%, hanno detto “NO” all’accordo.
Tenendo conto la pressione a cui erano sottoposti i lavoratori, il ricatto occupazionale, la pressione dei media, l’isolamento in cui sono stati relegati, la strumentalità politica a cui sono stati fatto oggetto, il risultato è sinceramente superiore ad ogni aspettativa. Se per una volta abbandoniamo le categoria della politica, fatta di mera contrapposizione, se abbandoniamo le forzature sul piano della economia e della globalizzazione ed usiamo una volta tanto le categorie del sociale, potremmo guardare agli avvenimenti di questi sei mesi con maggiore chiarezza.
Come tutti sanno tra il SI ed il NO, esistono una serie di altre posizioni che non sono state prese in considerazione. In un sondaggio sociale, tra i più semplici, oltre a raccogliere il consenso ed il dissenso ad una proposta, si cerca di raccogliere perlomeno altre tre posizioni.
Nel caso Fiat potevano essere per esempio : a) non so; b) si, con alcune correzioni; si, ma senza l’esclusione della Fiom. In questo modo avremmo potuto renderci conto che i lavoratori erano tutti dentro il percorso del rafforzamento produttivo degli stabilimenti, senza dover necessariamente rinunciare a dei diritti contrattuali consolidati. Alla fine, non tenendo conto che i lavoratori sono delle persone che pensano e che sanno cosa significa essere dei cittadini seri e responsabili, la vittoria di Marchionne risulta essere una vittoria di Pirro. Infatti la domanda che sorge immediata è, come intende gestire un si grande dissenso l’azienda? La certezza che in questo momento tutti hanno e che tolti i 1000 impiegati sulle catene di montaggio di Pomigliano e di Mirafiori , lavoreranno un operai che ha votato per il SI ed uno che ha votato per il NO, come si andrà avanti? Con le minacce di licenziamento continue dei capi? Con una politica di divisione tra buoni e cattivi sulle linee, con l’accentuare il controllo fiscale su i lavoratori, rendendo ancora più rigide le già dure condizioni di lavoro? Oggi la discussione è stata fatta con gli impianti fermi, ci vorrà un anno perché partano le nuove produzioni dopo gli investimenti per la riorganizzazione delle linee di produzione. Con la forzatura, legata alla sottoscrizione dell’accordo ed al referendum è stata innescata una bomba ad orologeria che potrebbe deflagrare con conseguenze veramente devastanti.
Con la scelta di queste nuove relazioni sindacali, con l’inesorabile atteggiamento dell’azienda, con i comportamenti arroganti e presuntuosi di Sergio Marchionne, tutti sono costretti a rimanere bloccati nei ruoli che si sono scelti: chi ha promesso investimenti e sviluppo deve farlo; chi ha deciso di fare il sindacato diminuendo gli spazi democratici si deve assumere il compito di dimostrare che il proprio ruolo non è neo corporativo; mentre la Fiom è costretta ad un antagonismo che la fa affiancare allo Slai Cobas, il sindacato di opposizione per eccellenza.
Sembra una strada senza uscita. Eppure, come molti vanno predicando e spiegando da tempo, una altra strada era possibile, si potevano trovare soluzioni in cui nessuno perdeva e tutti noi avremmo vinto con la Fiat ed i suoi lavoratori. Purtroppo, come diceva giustamente Rino Formica in una lettera inviata al “Foglio”di Ferrara: “L’economia sconfigge la politica”. Quando il Governo fa solo il tifo per Marchionne e, tranne i tagli alla spesa sociale, non ha nessuna voglia di occuparsi realmente di sviluppo e dei bisogni concreti dei cittadini, il risultato può essere solo il peggioramento della qualità della vita e della democrazia.
quello che registriamo, la spaccatura tra i lavoratori, la trasformazione di una grande impresa in stabilimenti di poche migliaia di addetti, simili a quelli sparsi in tutto il mondo, dove si sfrutta il lavoro, si pagano poco gli operai e si costruiscono prodotti senza anima, senza identità, senza storia. Una strategia destinata al fallimento, una scorciatoia tentata dal capitale, che non porterà a nessun risultato. Quando, per ottenere maggiori profitti, si produce un peggioramento delle condizioni di vita dei propri dipendenti, o sono certi i tempi di rientro dalle condizioni di diminuzione della qualità della vita e del lavoro oppure il futuro riserverà sicuramente dei conflitti sociali. In questa crisi economica tanto complessa nella quale viviamo, pensare di uscirne, ritornando indietro nelle relazioni sindacali e nel rapporto tra politica economia e società, è da miopi o disperati. Dietro il 42% dei NO, c’è il rifiuto della fabbrica, del lavoro produttivo e delle regole imposte da un sistema industriale in agonia, se la politica non lo capisce, avremo problemi molto seri nel futuro.

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