ARTE E CULTURA
Articolo

Le morti bianche in Campania

13/09/10

Il lavoro stanca.

LAVORARE STANCA!
di :Raffaele Pirozzi e Giuseppe Biasco

“Lavorare stanca” E’ il titolo della splendida raccolta di poesie di Cesare Pavese, pubblicata da Einaudi nel 1943. L’intellettuale piemontese, morto suicida nell’agosto del 1950, aveva scritto quelle poesie negli anni trenta, per pubblicarle una prima volta nel 1936 e per completarle nell’edizione definitiva nei tremendi anni della guerra. Un uomo divorato da un dolore autentico e disperante, impotente in uno scenario di morte e di desolazione, dentro una guerra partigiana, che ai giovani serviva per dare una speranza ad una vita senza futuro.
Il titolo afferma quello che tutti sanno, che il lavoro stanca sia il corpo che la mente; al termine di una vita, resta solo quella stanchezza enorme, che nessun riposo solleverà. Il genere umano è costretto a questa alienazione da se stesso, non può determinare la sua vita, non può vedere la bellezza e la complessità del mondo ma, soprattutto non riesce a governare, riconoscendoli, i sentimenti che rendono questa vita una esperienza irripetibile in un mondo tanto interessante ed unico.
Il lavoro estraneo, a cui molti sono costretti per necessità, non ha nulla a che vedere con il lavoro convinto di chi è partecipe di un grande progetto, di chi si sente parte di una collettività in movimento per raggiungere obbiettivi nuovi di progresso generale.
Chi sa se qualcuno ha presente che cosa sono 700 metri di profondità? Scendere per un piccolo foro nel ventre della terra per scavare al buio rame ed oro è un destino infame! Restare sepolti in quella oscurità, nel calore dell’aria malsana, in attesa di una liberazione troppo lontana ancora, è un male tremendo, è come essere sepolti vivi in una bara.
La tragedia della miniera di San José in Chile, riporta alla memoria le parole gridate troppo spesso in America latina dai disperati di sempre: “Nunca mas!”. Mai più gridavano i cileni pieni di speranza 40 anni fa, quando fu eletto Presidente della Repubblica Salvador Allende, che contro le multinazionali del rame e dell’oro, dichiarò una guerra senza tregua in difesa dei diritti dei miseri minatori dei desolati altopiani delle Ande. Solo tre anni dopo, morirà in difesa della democrazia durante il colpo di stato fascista, che precipitò il Cile nel più buio e disperato periodo della sua storia. I 33 minatori della miniera di San Josè, sepolti già da un mese a 700 metri di profondità, sono l’immagine di quello che produce un sistema capitalistico spietato e senza regole, dove non conta la vita delle persone, ma conta solo l’interesse ed il profitto. Gli uomini si sostituiscono, i poveri sono una merce molto abbondante e costano molto poco. Quei 33 poveri minatori stanno diventando, loro malgrado il simbolo drammatico di quella competizione globale, di quel mercato mondiale in cui tutto si consuma, che produce ricchezza per pochi ed infelicità per molti. Il sistema italiano non è competitivo, affermano in coro marchionni e Tremonti, la Cina ha scavalcato il Giappone, un grande risultato per il partito Comunista Cinese, su cui nessuno si interroga, mentre, ha poca diffusione la drammatica notizia che si ripetono ingorghi nelle strade cinesi, talmente inestricabili, da formare code per 120 Chilometri, dalle quali occorrono giorni per uscirne, con il conseguente incredibile inquinamento.
Se la competizione globale significa restare chiusi in una miniera a settecento metri di profondità, oppure restare chiusi in una morsa di traffico per giorni interi in mezzo all’inquinamento, dopo aver lavorato come un forsennato per dodici ore, non mi sembra una cosa ne buona, ne da percorrere. Se per competere con le economie emergenti dobbiamo rinunciare a diritti sacrosanti come quello alla salute, alla libertà di opinione e di organizzazione, non stiamo andando verso lo sviluppo, ma solo verso una crescita ineguale e distorta. Non si può morire in tre in una mattina di sabato in una cisterna, dove si doveva smontare una impalcatura , solo per guadagnarsi un po’ di straordinario.
Il Ministro Sacconi era molto contento, qualche giorno fa alla pubblicazioni dei dati dell’Inail sulla diminuzione degli incidenti sul lavoro e del numero dei decessi avvenuti. Forse, questo anno, il numero dei caduti sul lavoro sarà inferiore ai 1000; sarebbe la prima volta! Purtroppo, molti attenti ricercatori hanno spiegato che l’alto numero di ore di cassa integrazione erogata dall’INPS sia nel 2009, che in questo anno, sta a dimostrare quanto la crisi abbia inciso sulla produzione industriale e quindi, di conseguenza gli incidenti sono avvenuti in maniera minore. Meno si lavora, meno si muore in fabbrica! Sarà un caso, ma i dati ISTAT, hanno evidenziato una ripresa della produzione industriale nel secondo trimestre del 2010 e l’altro giorno è arrivata la triste conferma che sono morte 5 persone mentre lavoravano. Questo modo di lavorare e di vivere, non è sviluppo! Un altro modo per vivere e lavorare deve pur esserci, non è possibile pensare che la competitività di un sistema economico ed industriale, non può reggere la sicurezza sul lavoro. Eppure Tremonti, il nostro potentissimo Ministro dell’Economia, ne sembra convinto. Le sue affermazioni che la legge 626, che definisce gli obblighi dell’impresa per prevenire gli incidenti e gli infortuni sul lavoro, è un peso insopportabile per la competitività delle industrie italiane, hanno fatto poca notizia e non hanno suscitato molti commenti. Il paese era impegnato a seguire lo scontro tra Fini e Berlusconi, così della sua nuova provocazione, non se ne accorto nessuno. Questa è l’economia sociale del nostro ministro, la competitività non può essere strozzata da regole e lacci che ne impediscono il libero fluire. Peccato che lo stesso ministro, abbia affermato che l’Italia non si può permettere il lusso di mantenere un numero enorme di invalidi, perché ne soffre la competitività della nostra economia. Purtroppo, gli oltre due milioni e settecentomila invalidi italiani, crescono ogni anno e il mondo del lavoro contribuisce in maniera significativa a questo continuo e drammatico aumento. Oltre ai mille morti, ogni anno sono oltre 7000 i nuovi invalidi permanenti che provengono da gravi incidenti sul lavoro. Forse, la prevenzione serve alla competitività e non viceversa!
A 60 anni dalla morte di cesare Pavese, poeta ee scrittore dimenticato in questo paese di ignoranti saccenti, tornare a leggere le sue opere non sarebbe un male.
Un altro mondo è possibile, dovremo tutti lavorare per trovarlo e realizzarlo ogni giorno.

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