ARTE E CULTURA
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Nymphomaniac Volume 1 e 2

24/04/14

Lars Von Trier sa bene come calamitare l’attenzione sulle sue opere. Già prima dell’uscita di Nymphomaniac 1, il trailer in doppia versione, hard e soft, aveva scatenato fans e detrattori, comunque messo il film sotto i riflettori, proprio come desiderava il vecchio Lars.

Dopo Antichrist e Melancholia si chiude così la trilogia sulla depressione.
Avendo avuto la possibilità di vedere i due volumi contemporaneamente senza la pausa forzata imposta dal regista, posso dare un giudizio sulla complessità dell’opera.
Con Nymphomaniac volume 1 e 2 Lars Von Trier, rielabora le proprie ossessioni regalandoci la summa del suo cinema.
Il sesso, la patologia, la religione, l’amore, l’odio e la morale ci vengono mostrati con un taglio empirico e distaccato.
Il film inizia con il ritrovamento di Joe, (Charlotte Gainsbourg da adulta, Stacy Martin da adolescente) da parte dell’anziano Seligman che vedendola a terra sanguinante, nel quartiere dove abita, la soccorre portandola nel suo appartamento.
Qui, in questo luogo-non luogo dove gli accessori diventeranno spunti per scandire i capitoli della sua storia, Joe gli confiderà di essere una ninfomane e di ritenersi una persona cattiva e peccatrice, ma già consapevole del suo essere:
“forse la differenza tra me e le altre persone è che ho sempre chiesto di più al tramonto. I più spettacolari colori, quando il sole incontra l'orizzonte. Forse è questo il mio unico peccato”.

Con lo scorrere del racconto, Seligman si trasforma da passivo ascoltatore a giudice e redentore.
il suo metro di giudizio e le metafore prese dal mondo animale e dalla pesca si fondono con le parole di Joe.
Come in una sessione psicanalitica i due protagonisti rincorrono un transfert qui impossibile.
Troppo diverse le due vite anche se entrambe caratterizzate da una “mancanza”, dolorosa ma necessaria.
Nel secondo volume si evidenzia maggiormente una certa violenza, una mortificazione della carne accostata a quella praticata nella Chiesa Cattolica qui vista più cupa rispetto alla gioiosità di quella ortodossa.
Grazie alle scelte stilistiche il montaggio e le immagini raggiungono vette di rara bellezza, si pensi all’analogia tra i diversi tipi di piacere e la polifonia bachiana, mostrata con lo schermo diviso in tre parti, come le componenti musicali che nei testi per organo di Bach contribuiscono a creare l’armonia.
Ma è nel finale che il regista danese cala l’asso, sembra quasi di vederlo, sguardo in macchina e sornione sussurrare compiacente:
“cosa pensavi…non si può scappare al proprio destino figurarsi ai propri istinti….”
Come in un mise en abîme sensuale e crudele….

Vittorio Zenardi



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