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Comunicato Stampa

Pentathlon moderno: L'epilogo alle Olimpiadi di Londra, Italia colpita e affondata

04/09/12

I motivi non sono stati solo di natura tecnica ma, sono convinto, che la questione più importante rimandi alla componente psicologica, la quale ha determinato in modo estremamente significativo il risultato di queste Olimpiadi

Sono ormai quattro quadrienni che l’Italia fallisce l’impegno olimpico.
Le cause sono da attribuire senza alcun dubbio alla linea politica di una Federazione che da molto tempo non gode più di nessuna credibilità sia tra i propri tesserati che all’interno del CONI. Una Federazione spiccatamente autoreferenziale e che persevera negli errori di sempre, uno su tutti ( e tra i molti) quello di continuare a dar credito a personaggi che da tempo hanno dimostrato incapacità tecnica ed incompatibilità con gli atleti. Una partnership fallimentare.
E’ ora di dire basta e di voltare definitivamente pagina.
Premessa
Prima delle Olimpiadi di Londra cominciai a scrivere le mia previsione di risultato degli italiani con l’intento di pubblicarla sul sito www.pentathlonmoderno.it, ma ho deciso di non farlo prima della fine della gara per i seguenti motivi: il mio rispetto per gli atleti e quindi la mia decisione di non turbare i ragazzi già troppo “pressati” dalla situazione contingente; il mio lavoro che nell’ultimo periodo mi ha impegnato molto, insieme all’incombenza di una partenza imminente che dà inizio per me e per la mia famiglia ad una vera e propria avventura in quanto ci stiamo trasferendo a vivere nelle Filippine.
Per questi motivi non ho avuto modo di poter terminare quel che avevo iniziato a scrivere.
Vorrei ricordare che la decisione di non pubblicare le mie anticipazioni è stata analoga a quella presa in occasione dei Mondiali di Mosca 2011, ricordati per la scelta infelice di non convocare i due atleti più in forma di quel momento Petroni e Giancamilli, estromessi dalla competizione con argomentazioni pretestuose.
Anche in quell’occasione, prima della gara, non pubblicai il mio articolo “Mondiali di Mosca: un flop annunciato” nel quale prevedevo quanto poi effettivamente accaduto, motivando le mie analisi e dandone una chiave di lettura. Esorto, chi non l’avesse fatto, a leggerlo per avere una visione ancora più completa sulla linea di condotta del CT Quattrini, il quale riflette in pieno la condotta di una politica federale che instancabilmente perpetua negli errori di sempre.
Oggi, mi rammarico di non aver pubblicato le mie “ipotesi di risultato” prima delle competizioni menzionate, perché anticipare un risultato che poi puntualmente si verifica, valorizza e rende ancora più credibile e convincente, agli occhi di chi legge, ciò che l’autore sostiene; ma ad un attento lettore non sfuggirà la validità delle mie argomentazioni, che non nascono assolutamente dalla contingenza o da eventi già verificatisi, ma che hanno origine antecedenti e motivazioni ben definite.
Adesso che sono in aereo, ho il tempo che un viaggio così lungo mi concede, e l’occasione di poter pensare a più di diecimila metri di altezza mi trasmette un senso di lontananza e di completo “distaccamento” dalle cose e, di conseguenza, la capacità di poter focalizzare meglio e con serenità le questioni da affrontare per analizzare più obiettivamente gli elementi a mia disposizione.
Alla vigilia delle Olimpiadi avevo espresso la mia convinzione che dovevamo ritenerci fortunati se l’Italia fosse riuscita a piazzare un nostro atleta nelle prime dieci posizioni.
Alcuni mi avevano “accusato” di pessimismo, facendo riferimento ai risultati degli italiani nelle ultime competizioni di Pentathlon Moderno.
Ripeto adesso quel che ho risposto allora: “fumo negli occhi”.
Vorrei essere subito chiaro, in modo che non ci siano fraintendimenti al mio pensiero: considero l’avvicinamento alla competizione londinese, per modi e tempi, profondamente errato.
Mi riferisco alla programmazione sbagliata delle gare che i due atleti olimpici hanno dovuto affrontare, ed al picco di forma da loro raggiunto in tempi non utili e precedenti al periodo olimpico. Errori che si intrecciano e si accentuano esponenzialmente se consideriamo anche la componente psicologica degli atleti, sottoposti ad una pressione esagerata non solo nell’imminenza della gara olimpica, ma durante tutto l’arco dell’intero quadriennio.
Tensione che ha raggiunto l’apice in quest’ultimo anno in cui si è respirato un clima ed una situazione insostenibili all’interno della FIPM.
Ma andiamo per gradi.
Tecnicamente, cerchiamo una chiave di lettura leggendo la classifica dei primi dieci di Londra 2012.
Quattro dei primi dieci atleti hanno scelto di non partecipare agli Europei di luglio ed altri tre hanno gareggiato palesemente al di sotto delle loro potenzialità (Marosi, Daniel, Kinderis rispettivamente 20°-19°-17°); gli stessi Moiseev e Lesun, mostri sacri del P. M., sembrano essersi presentati in modo “rilassato” all’appuntamento europeo. E’ evidente che coloro che hanno scelto di gareggiare con propositi concreti di medaglia olimpica, hanno considerato l’Europeo come “gara di passaggio”, non puntando necessariamente al risultato perché avrebbe richiesto una preparazione mirata ed acquisire uno stato di forma troppo elevato ad un mese da Londra, periodo eccessivamente distante dalla gara più importante di tutto l’intero quadriennio.
Consultando l’anno di preparazione nelle passate edizioni olimpiche degli atleti più accreditati vediamo Frolov, campione del mondo 2008, gareggiare agli Europei del 4 luglio 2008, vincendoli, ed un mese dopo alle Olimpiadi di Pechino arrivare 20°
Lo stesso Moissev prima delle Olimpiadi del 2004 e del 2008 aveva gareggiato in solo cinque competizioni ed addirittura nel 2004 aveva smesso di gareggiare a maggio ( Campionato del Mondo) per poi vincere le Olimpiadi in agosto oltre che quelle successive.
Avvicinamento di Moissev molto diverso in occasione di queste ultime Olimpiadi di Londra ,in cui nel 2012 ha gareggiato in sette gare tra cui l’Europeo di luglio, per poi classificarsi alle Olimpiadi solo in 8° posizione.
Il Campione olimpico di Londra 2012, Svoboda, prima della competizione olimpica ha preso parte solo a cinque gare, partecipando agli Europei esclusivamente nella gara a staffetta, peraltro con prestazioni di non alta qualità. Chiaramente una gara di passaggio, in un periodo delicato, e con un impegno atletico molto ridotto. Nelle precedenti Olimpiadi lo stesso Svoboda, avvicinandosi a Pechino 2008, in cui si classificò in 29° posizione, partecipò ad un numero maggiore di gare rispetto alle cinque di quest’anno, sette più una staffetta al mondiale e l’ultima gara fu proprio l’Europeo di luglio (10° posizione).
Il tedesco Gebhardt, 5° sia a Pechino che a Londra, non ha partecipato a nessuna delle due competizione Europee prima delle Olimpiadi.
Personalmente reputo il Pentathlon Moderno uno sport molto particolare dove un impegno importante come l’Olimpiade debba essere pianificato con la massima attenzione, tale da far disputare all’atleta un numero utile di gare finalizzate alla preparazione e al conseguimento della qualificazione olimpica, ma anche ridotto nel numero; quindi, non troppe competizioni di avvicinamento e soprattutto un periodo sufficiente in cui non si deve gareggiare o comunque affrontare e considerare qualsiasi gara, appena precedente l’olimpiade, esclusivamente di preparazione in cui l’atleta controlli ed analizzi le proprie sensazioni, preferibilmente positive, ma assolutamente non “sentirsi in forma” per l’occasione, specificatamente nell’Europeo che si è disputato a quasi un mese dall’evento olimpico.
Vorrei ricordare ai meno esperti che le gare di Coppa del Mondo, Europei e Mondiali prevedono una fase di qualificazione, senza la prova di equitazione, ed una finale; in definitiva sono due gare in una.
Emblematica la vicenda dell’ungherese Kasza.
Durante il collegiale organizzato in Ungheria dall’Athlion nelle prime due settimane di Luglio, allenando i ragazzi nella stessa piscina dove nuotava l’ungherese Kasza, ho avuto il piacere di parlare con la sua allenatrice, in preparazione con l’atleta per gli Europei, nei quali doveva assolutamente conseguire un risultato positivo per assicurarsi la partecipazione alle Olimpiadi. Abbiamo parlato anche della sua preoccupazione per il picco di forma che stava raggiungendo l’atleta, mirato agli Europei, ma troppo precoce per la gara di Londra. Timori giustificati in quanto Kasza agli Europei si è classificato 2°, ma 12° alle Olimpiadi.
Veniamo agli italiani ed esaminiamoli separatamente in quanto ritengo i due atleti molto diversi.
Penso che il risultato di De Luca alle Olimpiadi sia stato falsato da una preparazione non corretta; prima di tutto ha partecipato a ben sette competizioni dall’inizio dell’anno, l’ultima delle quali in luglio, gli Europei, che ha vinto, eseguendo una gara pressoché perfetta per i suoi standard. Nell’occasione ha espresso uno stato di forma molto elevato, che gli ha permesso di primeggiare, ma a mio avviso “fuori tempo” considerando la data dell’appuntamento Olimpico. Quindi una preparazione che ha dato esaltazione alla gara Europea con l’idea di mantenere quel livello di forma fino alle Olimpiadi. Io credo che si sia fatto un errore nel convincimento che una forma così elevata si potesse conservare così a lungo, per poi esacerbarla in occasione dell’Olimpiade di agosto. Valuto come un errore oltre che il numero di gare che De Luca ha sostenuto, anche errata la tempistica riguardo la gara di luglio, a cui non avrebbe dovuto partecipare e soprattutto con quegli standard di prestazione così elevati, considerando il periodo e le gare che aveva già sostenuto. Inoltre, elemento importante da sottolineare, De Luca possedeva già la carta olimpica, status che gli avrebbe permesso un avvicinamento per Londra diverso da quello che gli è stato proposto. De Luca ha gareggiato agli Europei nella massima forma ed è andato per vincerli (da atleta è un atteggiamento giusto che non si può biasimare). A pensarci bene è lo stesso errore che ha fatto il nuoto italiano; ottimi risultati e molte medaglie agli Europei 2012, clamoroso buco nell’acqua alle Olimpiadi.
Confrontando i tempi del nuoto conseguiti agli Europei con quelli fatti registrare alle Olimpiade di Londra (fonte www.pentathlon.org)
Possiamo notare che De Luca ha in sostanza conseguito nel nuoto lo stesso tempo degli Europei, solo 77 centesimi in meno, al contrario degli incrementi molto più cospicui dei suoi diretti avversari, i quali o non hanno partecipato agli Europei o, vi hanno partecipato non al massimo della forma, ma solo come preparazione per l’Olimpiade.
Si è proposta altresì come elemento di comparazione anche la gara di scherma anche se le due prove, Europeo ed Olimpiade, sono molto diverse per livello tecnico, contesto ed impatto psicologico; si nota comunque, a parte l’austriaco Daniel che ha totalizzato 48 punti in meno dell’Europeo, come tutti gli atleti abbiano incrementato ( Moiseev stesso score), il punteggio nella competizione olimpica. Al contrario, De Luca ha accusato un decremento di ben 192 punti nella prova schermistica.
Sostengo che nel P.M. la forma di un atleta si evinca maggiormente dalla performance di nuoto, in quanto gara con parametri sempre ripetibili a differenza delle prove di Combined e di scherma, perché in differenti competizioni ( e contesti) hanno molte variabili e, quindi, inadatte a fornire validi parametri di orientamento se non nella media degli eventi.
Per Benedetti il discorso è molto diverso; si è fatto l’errore macroscopico di non considerare la “fascia temporale” del suo massimo momento di forma, analizzando le sue stagioni agonistiche precedenti. E’ stato fatto anche un errore nel numero di competizioni propostegli, ma in particolare si sono sbagliati i tempi della sua programmazione e disputare l’Europeo è stato, specificatamente per lui, un errore doppio. Vediamo perché.Prendendo come parametri di riferimento il risultato finale ed il tempo di nuoto, evinciamo l’arco temporale del picco di massima condizione atletica di Benedetti negli anni 2008 - 2012. Se consideriamo l’arco temporale di massima forma negli ultimi 5 anni di Benedetti ed escludendo il 2011 ( anno negativo), il momento in cui l’atleta raggiunge la forma ottimale è sempre nel periodo primaverile, con un durata in media di 27 giorni e va da un massimo di 43 giorni (2010) ad un minimo di 21 giorni (2009). Si registra costantemente, invece, un netto calo di rendimento nel periodo che va da giugno a settembre, in cui vi è un forte decremento della performance complessiva dell’atleta.
Il secondo fattore è che analizzando il percorso agonistico negli anni di Benedetti, si nota che l’atleta raggiunge il periodo di forma dopo un numero di gare pari a 3-4, mentre, proseguendo nella stagione, quando il numero delle competizioni aumenta, i risultati non sono più all’altezza del suo valore. Facendo tesoro dell’andamento agonistico degli anni precedenti, a cui bisognava fare particolare attenzione, si sarebbe potuto programmare l’anno olimpico dell’atleta in maniera completamente differente ed estremamente personalizzato, provando a riprogrammare l’intero il ciclo di allenamento (e di gare da sostenere) per puntare su un picco di forma in data utile per l’Olimpiade, quindi intervenendo sui modi e soprattutto sui tempi dell’intera programmazione, al fine di non riproporre per l’ennesima volta un film già visto.
E questa programmazione “differente” sarebbe stata possibile, soprattutto per la partecipazione sicura alle Olimpiadi conquistata anzitempo sul campo (ranking altissimo), e per le decisioni del CT il quale, a quanto pare aveva le idee chiare, almeno da 1 anno, sugli atleti da portare alle Olimpiadi.
Ancora oggi, considero Benedetti come l’atleta più forte che abbiamo in Italia, ma devo dire che ha avuto la sfortuna di essere atleta in un periodo di assoluta mal gestione tecnica (precedente ed attuale) e federale. Considerando il valore di Benedetti, sono del parere che l’atleta non abbia ancora raccolto, in termini di risultati, ciò che gli spetta, ma il tempo sta passando in fretta.

Specificatamente sulla competizione olimpica, da quanto ho potuto seguire in televisione, ho visto una gara di scherma con De Luca e Benedetti estremamente contratti, dediti alla difensiva e mi è sembrato di cogliere un atteggiamento volto più a limitare i danni che cercare la stoccata con convinzione. In pedana perdevano subito terreno portandosi troppo spesso e con troppo facilità a fondo pedana, dove la scherma si fa molto più difficile. Atteggiamento sicuramente remissivo e che ostenta anche una certa insicurezza sui propri mezzi schermistici.
Per quanto riguarda il nuoto non mi sono piaciuti nessuno dei due. De Luca avanzava con una nuotata di forza e molto poco fluida, anche se devo dire ci ha messo grande carattere per il tempo fatto registrare; da fuori si aveva l’impressione di uno sforzo enorme e che il tempo che avrebbe conseguito fosse stato più alto di quello fatto registrare.
Mi dispiace dirlo, ma non ho mai visto Benedetti nuotare così male. “Massimamente” contratto, la sua azione mi dava l’impressione di una lotta continua con l’acqua. Lentissimo nelle virate.
Durante il “Combined” non sono stati mai inquadrati, quindi posso fare solamente una considerazione in base ai tempi e soprattutto nel confrontarli con quelli dei loro avversari; Benedetti ha confermato in questa prova di essere il più forte in assoluto, anche se non ha dato distacchi abissali, mentre De Luca pur facendo un combinato positivo non ha recuperato molte posizioni come era solito fare, segno che o non è stato per lui un combinato ai massimi livelli o sono andati forte anche gli altri.
Ribadisco il mio giudizio negativo circa la componente tecnica della gara disputata dai nostri atleti.
Mentalmente ( Psicologicamente)
Ripropongo la mia premessa fatta all’inizio, in cui asserivo di non aver dubbi sull’andamento della gara olimpica. I motivi non sono stati solo di natura tecnica ma, sono convinto, che la questione più importante rimandi alla componente psicologica, la quale ha determinato in modo estremamente significativo il risultato di queste Olimpiadi. Ritengo che i risultati conseguiti, sia a livello maschile che femminile, siano il frutto della “Non squadra” italiana portata alle Olimpiadi di Londra. Per “non squadra” intendo un Team inadeguato dal punto di vista mentale e cioè con una condizione psicologica fortemente negativa, determinata da un ultimo quadriennio, con apice proprio in questo ultimo anno, assai travagliato sotto tutti i punti di vista. Condizione determinante nell’assemblare una squadra olimpica non assolutamente coesa e senza un reale spirito di gruppo che ha reso la spedizione italiana perdente fin dall’inizio e senza nessuna possibilità di risultato olimpico
I primi responsabili della genesi di quelle problematiche che hanno determinato l’ innescarsi di reazioni a catena che, con il tempo, hanno contribuito all’amplificazione dei dissidi interni, sono stati da una parte la Federazione con la sua politica offensiva nei confronti di tutti gli atleti ( dagli olimpionici ai giovani delle categorie minori), e dal CT Quattrini che negli anni, oltre a non riuscire ad instaurare un rapporto quantomeno “decente” con il gruppo della nazionale e poi olimpico, con il suo atteggiamento ed i suoi metodi ha diviso gli atleti tra loro, instaurando nel gruppo meccanismi psicologici ed uno stato mentale che hanno poi condotto al flop olimpico.
Ricordando solo i fatti salienti, bisogna per primo sottolineare l’episodio quanto mai eccezionale del tentativo di “scomunica” da parte di tutti gli atleti nazionali nei confronti del CT Quattrini, in cui con un documento indirizzato alla Federazione si chiedeva un cambio della conduzione tecnica per palese incompatibilità, determinata principalmente da un atteggiamento irrispettoso verso gli atleti. Un documento firmato, motivato e dettagliato sul perché di tale protesta. Un fatto che non ha precedenti e che riflette in modo chiaro la considerazione degli atleti per il loro CT.
Devo dire che, a memoria, non ricordo mai un atto così netto e ben definito nei confronti di un CT; questa azione la dice lunga sui rapporti che intercorrevano tra Quattrini ed il gruppo degli atleti che seguiva. Penso che per arrivare a questa conclusione dovevano essere veramente al limite della sopportazione perché non è assolutamente facile per atleti che sono sottoposti alle autorità dall’arma di appartenenza, del CT e della Federazione, avere l’audacia e la determinazione di prendere una decisione così rischiosa per il loro futuro.
La Federazione, come sempre sorda alle richieste degli atleti, ha usato la linea dura avallando i comportamenti del CT Quattrini e annichilendo gli atleti alla sua maniera, usando la formula del “o fuori o dentro” ( alle nostre condizioni), e facendo firmare un documento di rinunzia ad ogni forma di rimostranza, frustrando di fatto ogni tentativo di dialogo.
C’è da dire che ufficialmente il documento di diffida da parte degli atleti nei confronti del CT non è arrivato al mittente firmato da tutti, ma la sola motivazione della rinuncia da parte di pochissimi è stata per la paura delle conseguenze sul loro futuro atletico e militare. Non dimentichiamoci che questi ragazzi hanno le mani legate su azioni di questo tipo perché soggetti a regole scritte e non scritte a cui per opportunità devono sottostare; e proprio in virtù di tale considerazione, assume ancora più valore ed importanza un gesto di protesta e di denuncia così netto.
Parlando da allenatore, ho la certezza che se il gruppo che seguo indirizzasse compatto nei miei confronti una tale rimostranza, peraltro così precisa e dettagliata, dopo pochi minuti mi farei da parte presentando le mie dimissioni irrevocabili e mi interrogherei seriamente sulla mia capacità di allenatore e sulle mie doti umane. Proverei anche ad avere anche un ultimo confronto con i miei atleti per capire dove ho sbagliato per, in futuro, essere un allenatore migliore senza ristagnare nei miei errori.
Ma un tale atteggiamento presuppone, in primis, la buona fede.
Buona fede che il Ct Quattrini ha dimostrato di non avere per tutte le vicende che si sono verificate dopo questo fatto. Le sue Scelte, gli atteggiamenti, le convocazioni e le comunicazioni nei confronti degli atleti hanno fatto storia per la loro iniquità, una triste storia ampiamente scritta e documentata dai fatti, ma anche una non scritta, la più importante e indelebile negli animi e nelle menti degli atleti, quella che nel prossimo futuro determinerà per alcuni la rinuncia alla pratica agonistica, per altri l’incentivo per una rivincita ed un riscatto.
La Federazione oltre ad essere complice di questi condotta, ha inizialmente contribuito ad alimentare un’atmosfera assai pesante, istaurando un clima di “mal disposizione” nei confronti degli atleti stessi. Oltre ad intere stagioni agonistiche in cui agli atleti nazionali non veniva riconosciuto il minimo rimborso spese, o qualsivoglia fornitura di materiale, per non parlare di supporto fisioterapico adeguato ( e stiamo parlando di atleti nazionali), la Federazione ha colpevolmente omesso, all’inizio della stagione olimpica, di fornire seri e precisi parametri per il conseguimento della carta olimpica da parte degli atleti, intervenendo solo molto tardivamente, con molte gare già fatte ed a carte già conquistate, pubblicando una serie di criteri che nulla dicevano ma anzi rimettevano il tutto alla discrezionalità del CT Quattrini.
Coadiuvato e supportato da questa politica federale, il CT ha potuto veramente operare nella più completa arbitrarietà producendo spaccature profonde tra gli atleti olimpionici e più in generale in tutto l’ambiente del pentathlon italiano.
Da qui il mio concetto di “non squadra”, cioè una delegazione italiana di pentathlon avvelenata in ogni suo settore, politico, tecnico ed atletico che non poteva portare a nessun risultato olimpico diverso da quello conseguito. Una Federazione malata e spaccata al suo interno dove ci sono forti dissapori tra la dirigenza, un reparto tecnico profondamente colpito e privo di credibilità a causa soprattutto del suo CT, ed una squadra di atleti olimpionici profondamente divisa e unita solo da bisogni personali e contingenti. Il risultato è stato il dover assemblare una “non squadra” olimpica per Londra profondamente disunita in ogni suo comparto, con l’esigenza di una medaglia per fini e scopi utilitaristici e personali. I dirigenti aspiravano al metallo olimpico ( senza importanza del colore) nel tentativo di “accreditarsi” sia in vista delle prossime elezioni e sia a seguito di 16 anni (4 quadrienni) di bugie verso i propri tesserati e verso il CONI, al quale per 4 Olimpiadi hanno promesso la conquista di una medaglia (il Pentathlon ormai ha perso qualsiasi credibilità nei confronti del Coni) . Il CT sperava in una medaglia sia per dimostrare quanto fosse bravo e quanto le proprie scelte fossero corrette nonostante i metodi, sia per monetizzare poi, in termine di incarichi, la sua aspirata medaglia olimpica. Gli atleti, le vere vittime passive ( ma anche attive) di tutta la vicenda, si sono presentati in campo caricati da una pressione elevatissima perché da una parte dovevano dimostrare che la scelta del CT Quattrini su di loro era stata corretta, dall’altra avvertivano su di loro l’aspettativa di un intero movimento che doveva salvare la faccia e la “baracca”.
La squadra italiana, veniva da un periodo agonistico che altro non è stato che “fumo negli occhi”, e cioè da un anno caratterizzato, dopo 3 mondiali a dir poco disastrosi, dalla conquista di un primo posto a squadre nel mondiale di casa e da una fresca vittoria di De Luca agli Europei. Per questo si gridava già ad una medaglia sicura alle Olimpiadi senza spiegare a nessuno che il valore puramente tecnico di questi risultati non combaciava affatto al prestigio dei risultati conseguiti. Un mondiale a squadre conquistato in casa e con performance a squadre non di altissimo livello ed un titolo europeo conseguito in una gara priva di molti degli esponenti più forti e con atleti che erano palesemente in preparazione, lontani dalla loro forma ottimale.
L’Olimpiade si è svolta, infatti, in tutto un altro contesto e con altri valori tecnici in campo.
Ero sicuro, come ho detto all’inizio di questo scritto, analizzando tecnicamente i risultati dei nostri atleti e di quelli stranieri di questi ultimi due anni, oltre ad una serie molto ampia di altri fattori (ambientali, storici, contingenti, ecc), che l’Italia non potesse andare oltre il decimo posto, affermavo infatti che: “ci dovevamo ritenere fortunati se alla fine della gara l’Italia fosse riuscita a piazzare un nostro atleta nelle prime dieci posizioni”.
Sono rimasti tutti a bocca asciutta, anzi, alla solita maniera italiana, da una parte si cerca di confondere le carte con un 9° posto che si vuol far sdoganare come un grande risultato che sa di vittoria e, dall’altra, il silenzio assordante di una Federazione che cerca di mantenere un atteggiamento di basso profilo che con pochissime dichiarazioni, peraltro di facciata, cerca in sordina di stemperare il fatto che l’Italia non abbia centrato lo sperato “colpo di fortuna”; e sì, perché in queste condizioni e con queste premesse conquistare una medaglia poteva essere solo frutto di un colpo di fortuna. Ma nel pentathlon ed in particolare alle Olimpiadi la fortuna non è mai di casa.
Se si vuol far passare questa Olimpiade come positiva e si cerca di sdoganare il 9° posto di De Luca come un grande risultato, allora si capisce quali possano essere gli obiettivi di questa Federazione e quanto, in futuro, andremo assai poco lontano. Ci siamo fermati, anzi abbiamo ancora una volta peggiorato l’ottavo posto di Cesare Toraldo conseguito nelle lontane Olimpiadi del 1996
La “non squadra” è stato il frutto del connubio scellerato, di una politica nefasta verso gli atleti considerati non come primi attori del nostro movimento sportivo ma come elementi da “sopportare”, e di una conduzione tecnico-gestionale degli atleti che ha avuto dell’incredibile in termini di errori.
Il Ct Quattrini si è dimostrato non assolutamente compatibile con l’incarico assegnatogli soprattutto dal punto di vista umano e gestionale, reo di aver creato con i suoi comportamenti un clima da “corrida de toros” tra i suoi atleti e che, di conseguenza, contaminando tutto l’ambiente ha condotto l’intera spedizione all’ insuccesso nell’evento più atteso e per il quale viene finalizzato l’intero lavoro del quadriennio, l’Olimpiade.
Gli atleti della squadra olimpica, a mio avviso, nonostante la loro forza ed il loro talento ( sia quelli che hanno partecipato a Londra sia quelli che sono rimasti a casa), non sono stati messi nelle condizioni di rendere per le loro potenzialità, oltre che per essere stati condotti male all’appuntamento dal punto di vista della preparazione ( e ripeto che bisogno c’era di farli gareggiare all’Europeo, anzi con un gesto sportivo si poteva far gareggiare gli atleti non selezionati per Londra), soprattutto per la mancanza di una tranquillità e di una serenità all’interno della squadra che, a questi livelli ed in queste occasioni, può fare veramente la differenza.
Conclusioni
Parole chiave “fumo negli occhi” e “non squadra”
Sono questi gli elementi intorno ai quali ruota la mia critica.
Come al solito, la colpa sarà di tutti e quindi di nessuno. Una dirigenza che per 16 anni ha fatto quel che voleva e come gli pareva, contornandosi di uomini “YESMAN” ed allontanando negli anni quelli competenti e capaci i quali hanno avuto il dispiacere di collaborare con la FIPM.
Ad oggi l’unico interesse della Federazione sembra essere quello di smembrare quel poco che è rimasto, renderlo sempre più incerto e precario, intraprendendo anche un progetto privo di un criterio logico: la costruzione a Pesaro, di un impianto dai costi per noi faraonici che altro non farà che portare via dalle casse quei soldi che provengono dal CONI (quindi pubblici), espressamente deputati per l’attività dei propri tesserati e come supporto alle Società di pentathlon.
“Fumo negli occhi” distribuito in modo continuo, anche quando si vuol sponsorizzare l’impianto di Pesaro come centro di P.M. il quale è presentato con una progettazione strutturale e finalità concrete, che nulla hanno a che fare con il Pentathlon ed tra l’altro sito in una cittadina in cui ad oggi non si hanno più tracce del pentathlon moderno.
Con l’occasione rispondo al Sig. Bittner, che peraltro ritengo una persona intelligente a cui do atto, leggendo solo oggi le sue personali verità su internet, di essere l’unico tra i dirigenti della FIPM che ha il coraggio di “affacciarsi” pubblicamente alla porta di una discussione che per la natura del mezzo, Internet, non può essere assolutamente esaustiva. Le fa onore Sig. Bittner il coraggio con cui prova a difendere l’indifendibile, cioè l’operato di questa Federazione; cercare anche di giustificare un progetto edile tanto inutile quanto costoso come il centro di P.M. che solo tra moltissimi anni aprirà come palestra, centro fitness ed estetico, mentre ad oggi la FIPM sta cadendo a pezzi in ogni suo comparto ed urge di interventi rapidi e concreti. Ma è quanto mai arduo voler sdoganare l’operato della FIPM come espressione democratica dei tesserati quando questa dirigenza è nata e prospera ad ogni elezione grazie al gioco canceroso delle 3 carte, con società finte e fantasma create ad hoc solo ai fini elettivi. Sig Bittner, lei diventa un vero e proprio titano quando cerca di parare i colpi che le provengono da più parti, il cui intento è quello di metterla a conoscenza di una situazione a cui non è più possibile far fronte e che si sta continuando a perpetrare un gioco iniquo e profondamente antisportivo, dove le regole sono state truccate fin dall’inizio.
La prego non difenda l’indifendibile, preferisco pensare che lei non vivendo la realtà di Roma, dove si concentrano il 90% delle vicende del Pentathlon italiano, è realmente all’oscuro di molte cose… di moltissime cose. Le suggerisco la più facile delle soluzioni; prenda un treno e si riunisca dentro un sala con tutti i pentatleti e, invitandoli a parlare liberamente, verrà a conoscenza di molte cose che non sa. Mi creda, le manca il contatto diretto con la situazione…con gli “utilizzatori finali”.
Io, come è risaputo, alleno la società dell’Athlion, una Società che si è dovuta rendere totalmente indipendente, dopo anni di ostracismo subito dalla Federazione e volto a farci scomparire dal panorama del P.M. italiano solo perché non eravamo in linea con la politica sconsiderata di una Federazione miope ed insensibile alle necessità degli atleti e dei i suoi utenti. Ma a dispetto dei continui sabotaggi siamo riusciti ad essere la più importante società non militare in attività, fungendo da modello per chi ci conosce; questo perché la nostra prima preoccupazione è da sempre il benessere fisico e psichico dei nostri atleti. Il resto è “fumo negli occhi”. Siamo in esatta controtendenza con la Federazione, a cui gli atleti interessano solo al momento della loro “forza atletica” e poi vengono letteralmente “scaricati” quando non servono o abbandonati se attraversano momenti di difficoltà. Questo modo di operare non ha nulla a che fare con l’idea dello sport, non è un servizio alla società per contribuire a renderla virtuosa con l’esempio, ma non è altro che il gioco sporco che c’è in tutti gli altri ambienti da cui il mondo sportivo, teoricamente, si dovrebbe discostare elevandosi a modello. E la FIPM con questo suo atteggiamento funge da testimonianza di quello che avviene negli ambienti sociali meno virtuosi, dove vige la regola “mors tua vita mea”, in cui ci si deve necessariamente “fare le scarpe” uno con l’altro per non soccombere. Da qui, l’impossibilità di sentirsi partecipi di un movimento, di una mentalità, di un modello che con la sua metafora sportiva della vita dovrebbe essere lume ed esempio virtuoso per una società in questo momento storico particolarmente decadente. Ma la FIPM con l’operato che esprime da molti anni è l’espressione di questa decadenza al pari di tutti gli altri esempi negativi che uccidono un po’ alla volta le speranze e le aspettative per una vita migliore.
Com’è possibile con questi presupposti sentirsi parte di una squadra e avere obiettivi comuni? Rimarrà sempre un ampio fosso che segnerà una divisione netta tra istituzioni sportive ed atleti, da una parte gli uni contrapposti agli altri. Rimane impossibile operare per uno stesso ideale e per una stessa causa virtuosa che non sia solo il conseguimento all’occorrenza di una medaglia che servirà, ai diversi livelli, agli scopi personali di ognuno.
Sono in completo disaccordo con l’affermazione che l’atleta debba fare l’atleta, così come il tecnico o il dirigente. Non c’è nulla di più sbagliato. L’atleta ha il dovere di informarsi, di sapere e di essere consapevole delle conseguenze presenti e future del suo impegno sul campo. Ha il dovere ed il diritto di documentarsi sullo stato dell’arte del proprio movimento sportivo a cui con le sue fatiche quotidiane contribuisce non poco. Se l’atleta non assume consapevolezza di essere l’ingranaggio necessario per far andare avanti l’intero “carrozzone” rimane solo un automa passivo ed inconsapevole. L’atleta può fare l’atleta solo se ci sono tecnici e dirigenti che adempiono con competenza ai loro rispettivi incarichi. Altrimenti, l’atleta come tale e come individuo ha il dovere di difendersi. Voglio sottolineare che l’atleta può essere sufficiente a se stesso nella pratica sportiva, perché esso è espressione ultima e necessaria dell’evento sportivo, al contrario dei dirigenti e dei tecnici i quali sono subordinati alla sua figura, necessariamente legati alla sua esistenza: hanno significato se e solo se esiste l’atleta.
Negli anni, gli atteggiamenti autoritari e dispotici della FIPM hanno relegato gli atleti a semplici esecutori del gesto sportivo, facendo loro perdere autocoscienza della propria importanza, della propria necessità. La FIPM ha operato in questo senso un opera capillare di “spersonalizzazione” dell’atleta, una profonda crisi di identità ed un disorientamento sul suo ruolo nel mondo sportivo, al punto di essere in grande soggezione al cospetto di un autorità di fatto estremamente autoreferenziale e che non avrebbe motivo di esistere senza la sua figura. Così come il tecnico, che dovrebbe sempre avere una grande empatia con i propri atleti ed essere sempre disponibile al dialogo, che si trasforma poi inevitabilmente in un confronto costruttivo quanto più gli atleti diventano uomini maturi e di livello. Se l’atleta non si fida del tecnico non può avvenire nulla di importante nella sua carriera, se non qualche fiammata occasionale frutto più di un calcolo delle probabilità per il numero delle gare che si eseguono che per un effettivo percorso concreto di crescita. Espressione esemplare di questa dicotomia è ad oggi il CT Quattrini il quale ha colpevolmente dimenticato che un comportamento autoritario e non diretto è cosa ben diversa dell’autorevolezza; insieme alla FIPM si è reso complice di aver generato questa situazione di “non squadra”. Degno erede di un sistema politico federale che ha causato lo sfascio negli anni precedenti, rendendo con la propria incompetenza “zoppe” ed incompiute le carriere di innumerevoli atleti dal talento indiscusso. Due nomi tra i tanti, Corsini e Valentini.
Sono ormai più di dieci anni che denuncio questa situazione vergognosa nel mondo del Pentathlon e devo dire che finalmente qualcosa si sta muovendo dal basso, con il lavoro paziente e meticoloso di chi è appassionato come me a questo sport e che sta facendo conoscere a molti il risvolto assai amaro della medaglia. L’arma della FIPM è stata fino ad ora quella di poter operare in assoluta clandestinità, in quanto fino a pochi anni fa mancava qualsiasi voce che facesse da cassa di risonanza alle ingiustizie e alla mala politica federale. La stessa clandestinità espressa nei giochi di potere condivisi “sottotraccia” e da delibere firmate in fretta e furia in occasione di consigli federali “occulti”, indetti all’improvviso a tarda ora serale, per sdoganare con grande premura e senza confronto alcuno decisioni a dir poco discutibili.
Oggi per fortuna c’è anche questo sito, che ha il merito di dare voce a chi non l’ha mai potuta avere, di pubblicizzare e divulgare ogni cosa in tempo reale e per informare chi non avrebbe il modo di esserlo altrimenti, anche se per un motivo o per l’altro gravita nel mondo del P.M. La segretezza è stata da sempre l’arma subdola della FIPM, che ha scelto una condotta di basso profilo per pubblicizzare il meno possibile quanto si decideva e scrivendo comunicati ufficiali che ben si discostavano dalla realtà dei fatti. Ma oggi, ad esempio, mi è possibile informare il pubblico, tramite questo sito, che il CT Quattrini, sempre per avvalorare quanto dico e delineare meglio i contorni della sua personalità e del suo agire, mi ha fatto sapere in maniera indiretta, tipico del suo “modus operandi”, che il sottoscritto non era gradito alle sedute di allenamento in cui due degli atleti che seguo durante l’anno, erano invitati a partecipare in quanto convocati per le gare internazionali giovanili. Questa “ritorsione” operata a mio danno solo perché, in passato, avevo espresso le mie considerazioni sull’attività giovanile e commentato i risultati dei Mondiali di Mosca in seguito alla sua scelta molto discutibile di convocare atleti al posto di altri, al momento molto più meritevoli e titolati. Penso che solo nella FIPM sia consentito non far seguire gli atleti dal proprio allenatore…. Provasse a dire una cosa del genere nelle federazioni nuoto o di scherma vediamo come andrebbe a finire…. solo nel pentathlon può accadere un fatto di una gravità simile e passare in sordina. Come la scelta disgraziata e irrispettosa di comunicare con una fredda mail la notifica, neanche personale ma tramite Federazione, dell’esclusione dai Giochi Olimpici di Londra agli atleti Petroni e Giancamilli che dopo quattro anni di sacrifici ed allenamenti sono stai messi da parte in questo modo. Questo fatto può riassumere in sintesi quale era il rapporto che ha saputo creare Quattrini con i suoi atleti. Per non parlare delle donne, le quali non sono mai state considerate, negando loro nei primi tempi del suo mandato anche la partecipazione alle competizioni internazionali, quasi fossero una perdita di tempo ed un settore non degno di attenzione.
Anche nel campo femminile sono arrivati risultati olimpici adeguati a quel che si è seminato.
Le mie parole possono sembrare un attacco personale ma in realtà, credetemi, la mia vuole essere una denuncia forte nei confronti di un sistema malato, continuamente alimentato da persone non adatte, incapaci di operare un qualsiasi cambiamento e che fanno inevitabilmente da catalizzatori per attirare altre persone a loro volta non virtuose.
Mi auguro, a questo punto, che ci sia veramente un movimento di protesta forte e potente.
Desidero una presa di coscienza da parte degli atleti, dei genitori e di chiunque vuole il bene di questo movimento. Auspico che tutti si fermino e si rifiutino di continuare a queste condizioni, incrociando le braccia e pretendendo numerose spiegazioni.
Bisognerebbe andare in molti sotto la sede della Federazione Pentathlon, darne pubblicità, e chiedere a gran voce l’allontanamento immediato di chi fino ad oggi si è reso responsabile e complice di questa situazione insostenibile e scandalosa. Dal Presidente, passando per il Consiglio, fino a tutte quelle persone annesse che hanno sempre appoggiato la politica miope di una Federazione fallimentare, si deve capire che è tempo di un cambiamento radicale che non può passare più per le loro figure e con la loro presenza; sì, dopo 16 anni di sbagli, di ingiustizie e di omissioni verso gli atleti e non solo, è tempo di lasciare il posto ad altri che difficilmente potranno fare peggio.
Mi piacerebbe veder riunito l’intero mondo del pentathlon italiano in un'unica sala e dare la possibilità a tutti di parlare liberamente, dagli atleti , ai genitori, a chiunque voglia dire qualcosa per dare la possibilità a questa dirigenza, così lontana dalle necessità degli atleti e delle vere società di P.M. da troppi anni in grandi difficoltà, di poter conoscere realmente la situazione affinché si rendano conto di cosa stia accadendo e abbiano sentore dell’entità di saturazione che si avverte a causa del loro operato negli anni.
Ritornando sull’argomento, vorrei dire al Sig. Felicita che forse il complesso estetico – ricreativo di Pesaro, che lei millanta come futura sede di preparazione per il P.M. , Le riuscirà meglio e più efficiente se ci si dedicherà anima e corpo in prima persona; perciò La invito a farsi da parte ed a lasciare ad altri le beghe e le rogne che derivano da questa, per Lei noiosa, irritante ed incomprensibile stranezza, esigenza democratica, di cambiamento e di rispetto delle regole che la rendono così insofferente.

Gianni Caldarone

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