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Recensione di Year Walk, gioco artistico per iOs

09/04/13

Simone "AKirA" Trimarchi, l'esperto televisivo di Gamerland, ci racconta la sua esperienza con Year Walk, gioco indipendente svedese di Simogo, che tocca vette artistiche mai raggiunte su iPad e iPhone

Scrivere la recensione della nuova fatica di Simogo, Year Walk, uscita circa un mese fa su App Store (ESSENZIALE giocarla su iPad, plz: non usate schermi più piccoli) è una “fatica” anche per me. Perché purtroppo so già in partenza che non riuscirò a condensare in parole ciò che ho visto, ciò che ho provato ciò che ho giocato. Year Walk è un odissea di sensazioni diverse: alcune sono fisiche e appartengono a media più tradizionali del videogioco. Sono la paura, l’emozione, la commozione. Altre invece appartengono al comparto meramente videoludico del gioco e fondamentalmente si riassumono in un “oh” di stupore. “Davvero si può usare un iPad in questo modo?”
Si, davvero. Ed è qualcosa che non avete mai visto prima e probabilmente non vedrete per un bel pezzo.

In un certo senso questa recensione può essere assimilata a quella di Superbrothers Sword & Sworcery, un viaggio geniale, che guarda caso scrissi l’11 Aprile del 2012, quindi quasi un anno fa. Quasi incredibile. Se avessi aspettato 3 giorni per scrivere questo pezzo avrei davvero gridato al miracolo. Due artisti (posso usare questa parola per Simogo e Capybara games?) molto simili fanno uscire due giochi, entrambi sui toni del bianco e nero, in periodi simili ed entrambi colpiscono la mia attenzione per un motivo o per un altro e alla fine arrivo a scriverne sul mio blog.
Ripeto, praticamente miracoloso

Year Walk è un avventura grafica che racconta una storia dalle forti tinte horror. E’ un prodotto che, assolutamente, giocato in cuffia da soli nel buio della propria stanza, fa prendere degli infarti mica da ridere. Uomo avvisato, mezzo salvato.
Descritto così, non potreste minimamente capirne il fascino o la genialità.
Il gioco di Simogo è pensato, pixel per pixel, per il device su cui gira, non ha nessuna concessione a metodi di controllo più conosciuti dai videogiocatori: non è un “punta e clikka” ma un “swipe & touch” (strofina e tocca).

Gli enigmi da risolvere, così come la semplice esplorazione del labirintico scenario, usufruiscono quindi di un design originalissimo che permette al gioco di farsi notare sin da subito, sin dai primi minuti. Proseguendo con la trama si scopriranno numerose chicche: la prima che mi viene in mente è un uso del multitouch veramente mai sperimentato; la seconda è, stresso il concetto scusatemi, un voler far ragionare il giocatore in maniera laterale. Solamente abbandonando i limiti che ci siamo imposti nell’utilizzo dell’iPad potremo riuscire a capire dove si nasconde quel particolare “oggetto” che ci serve per andare avanti. Questo, a mio avviso, è stupefacente e sarebbe sufficiente a fare di Year Walk un capolavoro. Corto e difficilissimo, due difetti che comunque non minerebbero il voto finale.

Ma è ancora più stupefacente che quando si rompe una barriera, quella del gameplay, si prova di tutto per rendere indimenticabile anche il contorno. Artisticamente parlando, a mio avviso, siamo di fronte ad uno dei pochi giochi in grado di rivaleggiare con le pennellate di Journey. Lo scenario è composto da quadri animati (siamo in una una foresta innevata) di rara bellezza. Si sente freddo, si prova malinconia, si intuisce il silenzio interrotto solo dal rumore del vento. E questo grazie alla grafica. Figuriamoci se aggiungo una colonna sonora composta in perfetto stile svedese e una trama, sicuramente troppo criptica almeno inizialmente, capace di raccontare una storia molto forte con estrema lucidità.

Ecco, lo sapevo. Non mi sono emozionato nello scrivere questo pezzo e, conseguentemente, difficilmente avrò emozionato voi. Forse avrei dovuto solamente dire: “Spendete questi due euro e mezzo non rompete le scatole…” ma così facendo avrei ottenuto la vostra curiosità ma non la vostra lealtà.
Ho provato invece a descrivervi un’opera d’arte con un linguaggio da critico d’arte vecchio stampo, rinunciando al lato “emozionale” della produzione che invece vorrei scopriste da soli.

Per il mio primo Indipendent Monday, comunque, rimango soddisfatto.



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