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Comunicato Stampa

Sentenza Corte di Cassazione: all’INPS nessun rimborso se il pensionato è in buona fede

03/10/17

Non dovuto il rimborso all’INPS per somme da questo erogate in misura maggiore a quelle dovute se il percipiente non ha responsabilità e le ha trattenute in buona fede

FotoRoma – (di Pasquale Landolfi, avvocato e giudice)

L’Istituto della Previdenza Sociale, in base all’art. 13 della legge n. 412 del 1991, e di quanto riportato dallo stesso Istituto con Circolare n. 31 del 2 marzo 2006, “procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza”.

Una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione – (la sentenza n. 482 dell’11 gennaio 2017), in coerenza con quanto peraltro già affermato in alcuni suoi precedenti (cfr. sentenze n. 19762 del 2008 e n. 198 del 2011) – ha sancito che, nell’azione di recupero promossa dall’Inps con l’obiettivo di rientrare in possesso delle somme indebitamente corrisposte, incombe all’istituto previdenziale, in applicazione dei principi di carattere sostanziale dettati dall’art. 2697 del codice civile, l’onere di fornire la prova che tali somme siano state erogate per causa riconducibile al dolo del pensionato percettore, cioè con un atto fatto di proposito da quest’ultimo per ottenere un surplus di pensione.

La sentenza sovverte quindi il principio generale: che è quello della ripetibilità dell’indebito sancito dall’art. 2033 del codice civile; attribuendo rilevanza dirimente, in ambito previdenziale, all’elemento soggettivo del dolo per cui, l’assenza di responsabilità e la buona fede – (connessa al comma 4, art. 38 Cost.) – in capo al pensionato, il quale ha ricevuto somme eccedenti il dovutogli, valgono ad escludere l’obbligo, da parte di quest’ultimo, di restituzione delle stesse all’ente che gliele ha corrisposte; e ciò tenuto conto che colui il quale ha percepito l’indebito, costituisce la cd. “parte debole del rapporto”, la quale si suppone coltivi il legittimo convincimento che lo stesso istituto detenga ed utilizzi correttamente tutti i dati che fondano il diritto e la misura della prestazione erogata.

In applicazione di quanto precede, il dictum in esame impone che il recupero operato dall’Ente previdenziale debba avvenire sulla base di un provvedimento in cui risultino evidenziate le prescritte ragioni che giustificano la pretesa; in mancanza delle quali si integrerebbe la palese violazione dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990, ai sensi del quale ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato con l’indicazione dei presupposti e delle ragioni giuridiche che lo hanno determinato, tanto più se si tratta di atti che producono un diretto depauperamento della sfera patrimoniale del destinatario.

Pasquale Landolfi, avvocato e giudice



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