SOCIETA
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Serve un nuovo '68

12/10/10

Formazione e lavoro, studenti e metalmeccanici, università e fabbrica. Il paese è in movimento

Venerdì sono scesi in piazza gli alunni, gli universitari, i ricercatori precari, i professori. Sabato sarà la volta degli operai della Fiom. Il paese, colpito dalla crisi economica, vive sull'orlo di un conflitto sociale che rischia di farsi sempre più acre a causa della mancanza, da parte del governo, di un piano di sviluppo che non sia giocato solo sulla difensiva, ma che sappia rilanciare l'economia. Un piano a lungo termine, che non sia miope, che sia capace di rispondere alla sfida di un capitalismo senza lacci o norme che ha dimostrato tutta la sua fragilità, la stessa con cui adesso il mondo intero è costretto a fare i conti. Serve allora un altro modello di sviluppo e un altro modello di economia, fondate sul rispetto dell'ambiente, le fonti energetiche rinnovabili (che incrementano gli spazi occupazionali come testimonia il resto dell'Ue), la redistribuzione della ricchezza, la lotta all'evasione fiscale, una tassazione progressiva che colpisca le grandi rendite, la rivalutazione dei salari e delle pensioni, il rafforzamento dello stato sociale, la garanzia dei diritti. Purtroppo tutto questo non è al centro dell'agenda politica del governo, avvitato nel conflitto interno e impegnato a detonare la bomba Fini o lo scandalo P3, tanto che da mesi assistiamo alla completa dimenticanza del paese reale e dei suoi bisogni primari. Purtroppo tutto questo non rientra nelle potenzialità del governo, dove le anime di Sacconi, Tremonti e Brunetta spingono in direzione della solita e consumata ricetta liberista. Di cui fa parte a pieno titolo un piano reazionario di contrazione della sfera dei diritti, fra cui appunto quello all'istruzione e al lavoro, con le scuole e le università ridotte a serbatoi di cervelli spenti e le fabbriche a spazi di contenimento di automi meccanici. La riforma Gelmini e il piano Fiat di Marchionne, sostenuto da governo e Confindustria, sono due medaglie della stessa moneta, una moneta che si chiama riaffermazione del mercato senza vincoli, che porta la distruzione dello stato sociale (la formazione è privatizzata e l'investimento concentrato sull'istruzione non pubblica) e la fine del lavoro come fondamento della democrazia (l'occupazione considerata nuova forma di schiavitù). In questo quadro il sindacato va diviso e il fronte della mobilitazione studentesca silenziato, privando il mondo dell'istruzione pubblica dell'ossigeno economico necessario (l'Italia è l'unico paese al mondo che in tempo di crisi non investe in questo 'assist' strategico). La Fiat e il governo salutano con soddisfazione l'esclusione della Fiom dal banco della trattativa sui contratti dei metalmeccanici, consapevoli che il sindacato diviso è sinonimo di forza per i poteri forti industriali e politici, soprattutto se questa divisione passa poi per il confino dell'unica organizzazione che difende i diritti e sostiene la democrazia. Parallelamente strangolano il sapere pubblico privandolo di fondi e costringendolo alla piazza, perché l'unica coscienza giovanile che vogliono è quella stordita dai bisogni materiali indotti, quella permeabile alla pubblicità, quella che aspiri al solo comprare e che abbia nei bei corpi, soprattutto femminili, il segreto del successo come competizione senza meriti e senza morale. La cultura dunque conta poco, quasi niente. Il valore della solidarietà e del rispetto del diverso è cosa secondaria. Il sudore della mente pensante, poi, un accidente di percorso da evitare. È la ricetta liberista e allo stesso tempo è un piano socialmente neoautoritario. C'è bisogno dunque di un nuovo '68, cioè di una ritrovata unità tra sapere e lavoro, fabbriche e atenei, per respingere indietro al mittente il tentativo distruttivo della democrazia, che sfrutta la crisi in atto e che parla un linguaggio solo apparentemente nuovo, perché in realtà vecchio: quello di una società ingiusta ma controllabile, senza coscienza dei propri diritti e senza sogni, dove il debole soccombe. Ma il debole potrebbe essere ciascuno di noi.

Luigi de Magistris

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