AZIENDALI
Comunicato Stampa

Agenti di commercio: Indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia

05/11/10

Una nuova sentenza della Corte di Giustizia UE (causa C-465/2004) ha completato la vicenda dell’attuazione in Italia della normativa europea in relazione all’indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia.Come è noto, il legislatore italiano, con decreto legislativo n. 303 del 10 settembre 1991 che ha modificato l’art. 1751 del codice civile, ha introdotto nell’ordinamento interno una nuova disciplina dell’indennità di scioglimento del contratto di agenzia commerciale, recependo la direttiva CEE n. 86/653 del 18 dicembre 1986 sul coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti.

Editoriale a cura di (MQARC+) – Marchio di Qualità Agenti e Rappresentanti di Commercio

Una nuova sentenza della Corte di Giustizia UE (causa C-465/2004) ha completato la vicenda dell’attuazione in Italia della normativa europea in relazione all’indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia.Come è noto, il legislatore italiano, con decreto legislativo n. 303 del 10 settembre 1991 che ha modificato l’art. 1751 del codice civile, ha introdotto nell’ordinamento interno una nuova disciplina dell’indennità di scioglimento del contratto di agenzia commerciale, recependo la direttiva CEE n. 86/653 del 18 dicembre 1986 sul coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti.

In realtà la nuova disciplina di derivazione comunitaria si è andata a sovrapporre alla preesistente disciplina prevista dagli accordi economici collettivi, che prevedeva (e tuttora prevede) la corresponsione all’agente dell’indennità di risoluzione del rapporto (FIRR da accantonare presso l’Enasarco) e dell’indennità suppletiva di clientela.

Dopo la modifica dell’art. 1751 c.c. la contrattazione collettiva per gli agenti ha prodotto due accordi (AEC 30.10.1992 per il settore industriale e AEC 27.11.1992 per il settore commerciale) i quali, dopo aver preso atto dell’intervenuta modificazione legislativa, ripropongono lo stesso sistema precedente, costituito appunto dall’erogazione del FIRR e dell’indennità suppletiva di clientela, affermandone la perdurante validità in quanto costituente un trattamento complessivamente più favorevole per l’agente.

Dall’esperienza giurisprudenziale degli ultimi anni, invece, emergerebbe che, mentre le indennità previste dagli accordi economici collettivi assicurano un trattamento minimo uguale per tutti, l’indennità europea prevista dall’art. 1751 c.c., essendo di tipo meritocratico, consente all’agente che abbia generato un plusvalore di rivendicare il diritto al pagamento di una indennità di certo superiore a quella garantita dagli accordi collettivi.

Di qui il problema, su cui appunto è intervenuta la sentenza in commento, dell’attuale validità degli accordi collettivi in presenza di una norma di legge di derivazione comunitaria, quale l’art. 1751 c.c., che sancisce, tra l’altro, l’inderogabilità a svantaggio dell’agente delle disposizioni dallo stesso previste.

In particolare l’art. 1751 c.c., così come modificato dal decreto legislativo n. 65 del 15 febbraio 1999, prevede che all’atto della cessazione del contratto di agenzia, il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:

*l’aver procurato nuovi clienti o l’aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti, purchè il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi dagli affari con tali clienti;

*che il pagamento dell’indennità sia equo tenuto conto di tutte le circostanze del caso.

Editoriale a cura di (MQARC+) – Marchio di Qualità Agenti e Rappresentanti di Commercio

Viceversa, l’indennità ex art. 1751 c.c. non è dovuta:

*quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente che, per la sua gravità non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto (giusta causa);

*quando sia l’agente a recedere dal contratto, salvo che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o a circostanze attribuibili all’agente quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essere ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività;

*quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l’agente cede a un terzo i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto di agenzia.

Il legislatore comunitario ha stabilito all’art. 19 della direttiva 86/653 che “le parti non possono derogare, prima della scadenza del contratto, agli articoli 17 e 18 a detrimento dell’agente commerciale”. Ed è proprio in tale contesto che vengono a confronto la disciplina dell’indennità di cui all’art. 17 n. 2 della direttiva, recepita dall’art. 1751 c.c. e la disciplina prevista dall’AEC.

Ai fini dell’applicazione di una disciplina dell’indennità quale quella prevista dall’AEC, è irrilevante il fatto che l’agente commerciale abbia procurato nuovi clienti o abbia consolidato la clientela esistente. E’, inoltre, irrilevante che il preponente continui a trarre vantaggi sostanziali dall’attività economica con tale clientela, dopo la fine del contratto di agenzia. Al contrario, si rivelano pertinenti, ai fini della determinazione dell’indennità convenzionale dovuta all’agente commerciale, la durata del contratto,

l’ammontare dei compensi annualmente percepiti dall’agente nel corso del rapporto e il carattere esclusivo o meno del contratto di agenzia. Contrariamente all’indennità legalmente prevista, che tiene conto anche della situazione posteriore alla cessazione del rapporto, l’indennità convenzionale dipende esclusivamente dalla presa in considerazione del passato (importi percepiti dall’agente commerciale e durata del vincolo).

Le differenze tra le due indennità non sono di poco conto. Sotto il profilo della sua ratio, infatti, l’indennità convenzionale persegue scopi del tutto diversi da quelli perseguiti dall’indennità di cui all’art. 17 n. 2 della direttiva (come recepito dal nostro art. 1751 c.c.).

Quest’ultima indennità risponde ad una logica meritocratica: si riconosce all’agente commerciale il diritto all’indennità nella misura in cui la sua attività di procacciamento e sviluppo della clientela abbia contribuito a continuare la realizzazione di plusvalenze per il preponente, dopo la cessazione del rapporto. La norma di cui all’art. 1751 c.c., in sostanza premia solo gli agenti che hanno prodotto un valore per l’impresa che alla fine del rapporto resta nel patrimonio di quest’ultima. Può premiare, al massimo, fino ad un anno di provvigioni sulla media quinquennale, ma può anche non concedere alcunchè.

In sostanza la norma premia solo gli agenti che hanno fatto un buon lavoro, e non concede invece nulla a chi non ha creato valore o a chi, alla fine del rapporto, sottragga i clienti che ha procurato a favore di altro imprenditore.

L’indennità prevista dall’AEC, invece, è riconosciuta a tutti gli agenti commerciali senza distinzioni, alla fine del rapporto, anche se il preponente non trae alcun vantaggio dalla prosecuzione di affari con tali clienti, dopo la cessazione del rapporto.

Ebbene, in tale contesto normativo, è intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia UE, di cui sopra, la quale ha sancito che l’art. 19 della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato nel senso che “l’indennità di cessazione del rapporto che risulta dall’applicazione dell’art. 17 n. 2, di tale direttiva (e, di conseguenza, dall’art. 1751 c.c.) non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest’ultima disposizione a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisca in ogni caso, all’agente commerciale un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della detta disposizione”.

Secondo l’art. 1751 c.c. “l’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annuale calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione”.

Si pone, pertanto, il problema di determinare concretamente, caso per caso, l’ammontare dell’indennità spettante all’agente secondo l’art. 1751 c.c.. A tal proposito, soccorre la relazione della Commissione delle Comunità Europee del 23.07.1996 sull’applicazione dell’art.17 della direttiva CEE 86/653 (da cui deriva, come più volte detto, l’art. 1751 del codice civile), che fornisce indicazioni utili per il calcolo dell’indennità per la cessazione del contratto di agenzia e che viene espressamente richiamata dalla sentenza in parola.

Secondo la relazione della Commissione il calcolo dell’indennità va effettuato distinguendo tre fasi: nella prima, va innanzitutto accertato il numero di nuovi clienti e lo sviluppo degli affari con i clienti esistenti (cd. clientela intensificata). Una volta identificati tali clienti, viene calcolata la relativa provvigione lorda per gli ultimi 12 mesi del contratto di agenzia.

Si procede dunque, ad una stima (di norma si considera un periodo di 2 – 3 anni, fino a un massimo di 5 anni) della probabile durata futura dei vantaggi che derivano al preponente dagli affari con i nuovi clienti e con la clientela intensificata, tenendo conto sia della situazione di mercato all’atto della risoluzione del contratto, sia del settore interessato.

Quindi si proietta la provvigione lorda degli ultimi 12 mesi nei successivi 2-3 anni, decurtandola di una percentuale (tasso di migrazione) che tiene conto della quota di clientela che si allontana naturalmente e viene perduta con il passare del tempo. Secondo la relazione della Commissione, il tasso di migrazione è calcolato in una percentuale della provvigione su base annua e può variare, a seconda delle situazioni, fra un minimo del 20% ed un massimo di circa il 38%.

La cifra così ottenuta va poi ridotta in considerazione del pagamento anticipato, decurtandola di un importo pari ai tassi medi di interesse applicati in ciascun paese.

Nella seconda fase si deve prendere in considerazione l’aspetto dell’equità, che permette di modulare la cifra in precedenza ottenuta. Secondo la Commissione, vanno presi in considerazione i seguenti fattori:

*se l’agente lavori con altri preponenti;

*eventuale colpa dell’agente;

*livello di retribuzione dell’agente;

*diminuzione del fatturato del preponente;

*ampiezza dei vantaggi derivati al preponente;

*pagamento dei contributi pensionistici del preponente;

*esistenza di clausole di limitazione degli scambi commerciali (in questo caso,l’indennità sarà più elevata).

A parer di chi scrive, considerata l’ampiezza del concetto di equità, si può tenere conto anche di altri fattori concomitanti che possono aver in concreto concorso alla produzione degli affari procurati dell’agente (es. andamento del mercato, investimenti pubblicitari e promozionali del proponente).

Nella terza fase, infine, l’importo calcolato nella prima e seconda fase va raffrontato con quello massimo previsto dall’art. 17 della direttiva CEE 86/653, ossia all’indennità annua che rappresenta, di fatto, un correttivo finale.

Nel calcolare il massimo dell’indennità vengono incluse nei compensi dell’agente tutte le forme di pagamento, non solo le provvigioni, e la base di calcolo deve comprendere tutti i clienti e non solo la clientela nuova o intensificata.

Il giudice comunitario, infine, ha affermato che, fermo restando il sistema di calcolo imperativamente previsto dalla direttiva Ue ed esemplificato dalla relazione della Commissione del 1996, come sopra descritta, gli Stati Ue potrebbero solo intervenire nell’ambito della definizione del criterio di equità, e non, invece, adottare dei sistemi di calcolo differenti da quelli previsti dalla direttiva.

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