ARTE E CULTURA
Comunicato Stampa

Al Palazzo del Turismo di Riccione "La fatalità della rima" con Fabrizio Gifuni, veicolo e corpo perfetto per le parole e le rime di Giorgio Caproni

Gifuni continua ad accompagnarci in questo suo sorprendente viaggio nel multiforme corpo della lingua italiana.

"Il poeta è un minatore, è poeta colui che riesce a calarsi più a fondo in quelle che il grande Machado definiva “las secretas galerías del alma". E lì, attingere quei nodi di luce che sotto gli strati superficiali, diversissimi tra individuo e individuo, sono comuni a tutti, anche se pochi ne hanno coscienza":

Con queste parole di Giorgio Caproni, inizia, al GranTurismo.per la "Bella Stagione" di Riccione Teatro, la lettura delle rime del poeta livornese, fatte da Fabrizio Gifuni che si fa veicolo e corpo perfetto per la voce del poeta.

La fatalità della rima è un omaggio delicato, intimo e riflessivo che Gifuni porta ad uno dei poeti italiani più profondi del Novecento italiano, Giorgio Caproni, i cui versi si intrecciano in scena a frammenti di un’autobiografia in prosa, con una delicata ma profonda incursione nella selva acuta dei pensieri e nelle segrete gallerie dell’anima, in particolare e a partire da "Il seme del piangere", dedicato alla madre Anna Picchi, l’indimenticabile Annina

La mamma-più-bella-del-mondo
Non c’era più – era via.
Via la ragazza fina,
d’ingegno e di fantasia.

protagonista del libro e dagli amatissimi “Versi livornesi”: uno dei punti più alti di poesia della seconda metà del Novecento.

Lo spettacolo allinea, via via, una rassegna di poesie che ridefinisce la poetica e le tematiche centrali della produzione dell’autore livornese, in una performance asciutta, solenne, toccante, che lega la musicalità della parola all’eleganza dei gesti, la semplicità dei vocaboli alle riflessioni complesse che attanagliano l’uomo moderno e riabilita la funzione sociale della poesia, dell’idea della sua totale accessibilità: l’amore, i rapporti familiari, il mistero incomprensibile dell’esistenza, il congedo dalla vita.

Non poteva mancare in questo potente spartito, il primo amore di Caproni, la musica, il suo intimo legame con la poesia, con una suggestiva incursione nel suo universo poetico, nella "fatalità della rima" appunto, nell’incerto confine tra il vero e l’immaginario.

Caproni abbandonò lo studio e l'esercizio musicale, ma le sue poesie diventano importanti componimenti anche dal punto di vista musicale, perchè "la musica è una riserva di nozioni teoriche da sfruttare per il discorso poetico", come interpreta nella lirica Cadenza in (" Muro della terra", 1975):

Tonica, terza, quinta,
settima diminuita.
Rimane così irrisolto
l’accordo della mia vita?


Ma, alla fine, "cos’è la poesia e come si diventa poeti? "

Nel 1986 Caproni, ospite del programma televisivo Rai “Poeti d’oggi”, risponde così a questo' interrogativo, posto già a molti altri grandi poeti del Novecento:

“Credo che non lo sappia dire nessuno che cos’è la poesia. Io penso che per me sia stata una ricerca, fin da ragazzo, di me stesso e della mia identità. Vedere chi sono insomma, cercare di capire chi sono e attraverso di me, cercare di capire chi sono gli altri. Perché io penso che il poeta sia un po’ come il minatore che dalla superficie cioè dall’autobiografia scava, scava, scava, scava finché trova un fondo nel proprio Io che è comune a tutti gli uomini. Scopre gli altri in se stesso.”

Ecco, allora, tornare l’immagine del poeta “minatore”, che calandosi nel profondo di sé stesso raggiunge quei “nodi di luce (…) comuni a tutti” che descrivono l’essenza ultima dell’essere umano. Una poesia aperta, delicata ma intensa, un percorso tracciato con cura che sublima lo scavare del poeta ed esplora le pieghe recondite dell’animo umano, affermandosi come l’espressione di sentimenti universalmente noti ed esperienze comuni ad ogni sentire.

Gifuni ci accompagna da anni in un sorprendente viaggio nel multiforme corpo della lingua italiana. Le ‘officine di lavoro sempre aperte’ di Gadda e Pasolini, ‘la carne che si rifà verbo’ nella dirompente lingua di Testori. Senza mai dimenticare Dante.

E con il Pasolini di "Io sono un prete e un uomo libero" Fabrizio Gifuni chiude la sua lettura del mondo poetico di Caproni. Ricordando(ci) "‘Na specie de cadavere lunghissimo", la sua idea (da Pier Paolo Pasolini e Giorgio Somalvico) del 2004, con la regia di Giuseppe Bertolucci.

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