Carmine Di Biase, Recensione a Roberto Pasanisi, ''Le «muse bendate»: la poesia del Novecento contro la modernità'', IEPI
"Nella coscienza di un’idea profonda della Letteratura come valore si sviluppa e articola questo saggio intenso e chiarificatore, improntato ad una concezione singolarmente ‘alta’ della poesia, intesa non solo come ‘luogo’ di conoscenza, ma anche e soprattutto come autocoscienza critica e bergsoniano «supplemento d’anima» nella moderna ‘società di massa’, che appare sempre più disumana e totalitaria. Nel rischio cioè di una tecnologia schiavizzante e di un potere prepotente ed occulto, sotto le apparenze fantasmagoriche di una sedicente «democrazia del consumo» che coinvolge anche la cultura, si oppone — con convinta coscienza letteraria e stilistica — questa attenta, significativa linea saggistica inventiva di Roberto Pasanisi". (Carmine Di Biase, professore ordinario di Letteratura italiana, Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa”, Napoli)
Roberto Pasanisi, "Le «muse bendate»: la poesia del Novecento contro la modernità", Pisa-Roma, I.E.P.I., 2000
Nella coscienza di un’idea profonda della Letteratura come valore si sviluppa e articola questo saggio intenso e chiarificatore, improntato ad una concezione singolarmente ‘alta’ della poesia, intesa non solo come ‘luogo’ di conoscenza, ma anche e soprattutto come autocoscienza critica e bergsoniano «supplemento d’anima» nella moderna ‘società di massa’, che appare sempre più disumana e totalitaria. Nel rischio cioè di una tecnologia schiavizzante e di un potere prepotente ed occulto, sotto le apparenze fantasmagoriche di una sedicente «democrazia del consumo» che coinvolge anche la cultura, si oppone — con convinta coscienza letteraria e stilistica — questa attenta, significativa linea saggistica inventiva di Roberto Pasanisi.
Un testo che si presenta con scelta di ‘situazione’ culturale decisa che, negli stessi risvolti ‘polemici’, conserva coerenza di discussione critica: come è evidente già dal titolo della raccolta, Le «muse bendate»: la poesia del Novecento contro la modernità: dove quel «contro» postula e ricerca una ragione coerente di ‘verità’, al di là di posizioni acquisite o meno.
In tale prospettiva il volume si dispiega a partire dalla considerazione del rapporto dialettico intercorrente fra storia e letteratura, secondo modelli di analisi in senso aperto e radiale: che vanno cioè dalla filologia tout court alla psicologia, alla sociologia, alla filosofia. La storia dell’Occidente infatti, nello stesso traumatico brulichio di vicende drammatiche nell’intero arco del Novecento, non ha mancato di evidenziare alcune coordinate di fondo, per esplorarne forme e significati.
Linee di percorsi, quindi, qui individuate attraverso tre filoni, come sotterraneo ‘filo rosso’, a scandire i tempi di un secolo meraviglioso e tremendo qual è il Novecento: e cioè industrializzazione, tecnologismo e mercificazione; massificazione e involgarimento; morte della bellezza. Tre tendenze incombenti, di fronte alle quali gli artisti non hanno mancato, ancora prima dei filosofi, di esprimere il loro grido di protesta. L’arte cioè, ancora una volta ha finito per configurarsi come la coscienza più alta e lucida della società, con una sua valenza anche di moderna sacralità. Al cui fondo è l‘idea di una gnoseologia estetica come disvelamento: «ovvero una forma di conoscenza altra e complementare, ma autonoma, rispetto alla scienza ed alla filosofia, attraverso la forma della bellezza».
Di qui, anche, un giusto rilievo dato alla ‘tradizione’: proprio in un’epoca di transizione come la nostra, che sembra avere come uno dei grandi segni caratterizzanti la crisi dei valori, spesso ridotti ad esclusivo prodotto economico, con tutte le mercificazioni di turno che ne conseguono. Da cui nulla sembra salvarsi: neppure la ‘bellezza’, categoria ontologicamente ineludibile, come fine o come mezzo, dell’opera d’arte, desacralizzata com’è, oggi, dalla sua stessa «riproducibilità tecnica». Sono cioè messe in dubbio le coordinate stesse della storia, e quindi del pensiero e dell’arte, in cui per l’autore si corre il rischio di vedere messi in discussione i punti irrinunciabili della poesia e dell’arte, come quello della donna, già simbolo della bellezza come valore. Anche qui, un sogno svanito per sempre, come già avevano chiaramente intravisto Benjamin e Baudelaire, nel rischio oggi più che mai evidente della «mercificazione» della stessa femminilità.
Una visione di fondo, quindi, di tendenza ‘umanistica’ nel senso classico e moderno della parola, in questa raccolta saggistica, in cui accanto ad autori istituzionalizzati vengono esaminati anche poeti di rilievo ‘secondario’: nella convinzione che pur attraverso il silenzio o l’apartheid in cui sono relegati, essi possono essere degli specimina particolarmente illuminanti della temperie spirituale e polemica della poesia dell’ultimo scorcio del 1900.
Anche di fronte a situazioni di vuoto o di mistificazione di certa poesia contemporanea: cui si oppone l’accennato «supplemento d’anima», oggi più irrinunciabile e urgente.
Un ritorno ai valori di sempre, proprio nell’esigenza del nuovo, ma come richiamo all’autenticità: per superare il rischio di uno ‘sperimentalismo’ fine a se s tesso, col vuoto culturale e creativo, che ne consegue.
Un’esigenza, quindi, di vera libertà creativa: nella fiducia di un’arte, soprattutto la poesia, che conservi sempre «una delle libertà e delle audacie con cui la nostra epoca riesce a sfuggire alle catene della funzionalità».
Per una più autentica ricerca del vero: nel campo del pensiero e dell’arte di sempre.
Carmine Di Biase
(professore ordinario di Letteratura italiana,
Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa”, Napoli)
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