Crisi economica. Vecchi Capitalisti
Il segretario della CISL, Bonanni, ha lanciato l’allarme per l’occupazione nel nostro paese. Dai dati presentati in un convegno, sono 900.000 i posti di lavoro a rischio per la crisi economica.
CRISI ECONOMICA E VECCHI CAPITALISTI.
di: Raffaele Pirozzi e Giuseppe Biasco
Il segretario della CISL, Bonanni, ha lanciato l’allarme per l’occupazione nel nostro paese. Dai dati presentati in un convegno, sono 900.000 i posti di lavoro a rischio per la crisi economica.
E’ una denuncia forte, quella che viene fatta, poiché i dati si riferiscono a posti di lavoro con contratto a tempo indeterminato, che aggiunti alla perdita, già in atto, di quelli precari, significa che il tasso di disoccupazione, in Italia nel 2009, aumenterà, mediamente tra il 2,5% ed il 3%. In questo modo raggiungerà 8%, superiore a quello del 2004, che era del 7,7%. Saremo molto lontani dagli obbiettivi posti a Lisbona, dalla U.E. per la piena occupazione. E’ necessario aggiungere che il Sud sarà maggiormente colpito dalla diminuzione di posti di lavoro, con un incremento della disoccupazione che raggiungerà il 20% in gran parte del suo territorio.
Per affrontare questa emergenza gravissima, occorrerebbero misure del Governo in grado di sostenere l’innovazione delle imprese, la riqualificazione dei lavoratori, un piano straordinario di investimenti pubblici per l’ambiente ed il territorio.
Poiché il Governo non ha nessuna intenzione di mettere mano a simili interventi, occorrerebbe, innanzi tutto, un sindacato diverso da quello litigioso e diviso a cui siamo abituati da tempo.
Su questo Bonanni non interviene, anzi, la sua denuncia appare più un attacco allo sciopero generale deciso dalla CGIL, che una vera e propria presa di coscienza di un problema grave a cui tentare di dare risposte con una piattaforma comune.
Purtroppo, mentre continuano le discussioni sui provvedimenti del Governo per fronteggiare la crisi economica, continuano ad arrivare brutte notizie. La Telecom, che aveva stabilito con il sindacato un piano di riassetto produttivo, solo qualche mese fa, che prevedeva ben 5.000 posti di lavoro in meno, ha annunciato che saranno ben 9.000 i tagli al personale previsti.
L’amministratore delegato Telecom: Bernabè, ha tenuto la sua conferenza stampa a Londra, disegnando il nuovo piano industriale e la struttura della impresa che prevede dismissioni di alcune partecipate estere, in particolare in America Latina.
La Telecom, è un altro bello esempio della capacità strategica dei capitalisti italiani. Non è un caso che si è svolta a Londra la conferenza stampa di Barnabè, la Telecom non è più italiana dall’anno scorso, quando Tronchetti Provera si dimise da amministratore delegato e dopo un breve periodo di scontro con Prodi, provvide allo spezzatino della società telefonica ed alla sua vendita.
La scelta fu obbligata, perché Geronzi e Unicredit, non riuscivano a reggere più il gioco delle scatole cinesi con il quale il manager milanese controllava la Telecom. Fu allora che la AT&T americana e la Telefonica messicana comprarono le azioni di Olimpia, la società di Tronchetti Provera, nata dalle ceneri di Pirelli, con la quale, il manager deteneva la quota maggiore delle azioni Telecom. Attraverso un gioco complesso di società scatola, possedendo solo il 18% delle azioni Telecom, il brillante manager milanese era di fatto proprietario della più solida società di Telecomunicazioni d’Europa.
Gli furono compagni in questa cordata i soliti Benetton e Banca Intesa, che realizzarono guadagni eccezionali.
Al termine di queste spregiudicate manovre, non sono più italiane né le aziende della Pirelli, né quelle Telecom, comprate, vendute e ristrutturate da grandi Società americane e giapponesi. Queste società sono oggi in grave crisi per il crollo del sistema finanziario americano e quindi soggette a nuove e più dure riorganizzazioni e con conseguenti diminuzioni del personale.
Eppure, Tronchetti provera, Colaninno, Benetton, Banca Intesa, Ligresti, li ritroviamo nel Consiglio di Amministrazione della C.A.I., che con soli 100 milioni di euro in contanti hanno acquistato la parte sana della Alitalia. La storia si ripete!
Questi sono i capitalisti italiani, cresciuti nel mercato globale della finanza virtuale. Che pensano ai loro interessi, ai loro immensi profitti e che hanno depredato il nostro paese delle loro aziende più importanti.
Tremonti non è preoccupato dalla crisi, il nostro paese è sano, continua ad affermare, non avremo i fallimenti e le ristrutturazioni industriali che dovranno affrontare gli altri paesi.
Una volta tanto, dobbiamo dargli ragione, è vero, i fallimenti li abbiamo avuti già: Parmalat, Cirio, la truffa dei Bond Argentini, Banca di Lodi, Banca 101, la bancarotta di Coppola e Ricucci i “famosi furbetti del quartierino”.
A questa lista, ogni giorno si aggiunge una nuova storia di bancarotta fraudolenta, come quella di Gai Mattiolo, lo stilista arrestato e che come al solito si sente una vittima, non certo un colpevole, come Cecchi Gori e tanti altri che hanno sperperato un patrimonio di lavoro e di creatività italiana.
Le crisi aziendali, le ristrutturazioni, questo paese le ha vissute, ad opera di una classe imprenditoriale di predatori dei finanziamenti pubblici, che si sono arricchiti con le dismissioni delle aziende dello Stato, che non hanno strategie, non pensano agli investimenti, non pensano alla ricerca, non hanno nessuna coscienza del bene collettivo e delle responsabilità verso il paese.
E’ in questa situazione, che cade la denuncia di Bonanni, che pure ha vissuto da protagonista quello che stiamo raccontando. Le vicende Telecom e Alitalia, insieme hanno significato, nel giro di pochi mesi, la perdita di ben 18.000 posti di lavoro tra i più qualificati.
Sarebbe stato auspicabile un comportamento dei sindacati molto diverso da quello a cui abbiamo assistito. Gravi sono le responsabilità del sindacato, ma non sono le uniche.
Sono gravi le colpe della classe imprenditoriale e finanziaria del nostro paese per le condizioni in cui versa la nostra economia; noi pensiamo come Ernesto Rossi, che ”I padroni del vapore”, hanno il dovere di rispondere delle loro azioni con trasparenza, perché sono quelli che ricavano di più dal lavoro di un intero paese e devono rendere conto di quello che fanno.
Una classe di imprenditori a dir poco incapace, dovrebbe guidarci fuori da questa crisi, non c’è da stare allegri, d’altra parte il rappresentante di questa generazione di finanzieri d’assalto e di fondatori di società scatole, che nascondono pacchetti azionari e bilanci che sfuggono alla trasparenza ed alla legalità, è il nostro Presidente del Consiglio, coinvolto in molte vicende giudiziarie legate a problemi di corretta conduzione di questioni finanziarie e societarie.
Come possiamo essere ottimisti?
Napoli, 08/12/08