ECONOMIA e FINANZA
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E se in Italia abbassassero le tasse…

04/10/13

Si va a caccia di investitori stranieri, e si snobbano quelli che abbiamo già 'in casa'

Ben 600 aziende italiane si sono accreditate al meeting organizzato dal comune di Chiasso per attirare imprese tricolori nel Canton Ticino, il 20 settembre scorso. Solo il giorno prima il Governo italiano aveva varato il piano “Destinazione Italia” per l’attrazione degli investimenti esteri. Un argomento che negli ultimi tempi è diventato una vera e propria ossessione per il Belpaese, malgrado la tiepida risposta dei destinatari che contano, se si escludono i cinesi, i quali da tempo, soldi in bocca, fanno shopping per lo Stivale come nel resto del mondo, ma solo se è un vero affare. E comunque l’Italia continua a perdere pezzi, nei settori a vario titolo più strategici. Due gioielli di famiglia come Telecom e Alitalia sembrano irrimediabilmente destinati a mani forestiere (rispettivamente a quelle della spagnola Telco e di Air France), mentre le 3 Ansaldo (Energia, Sts e Breda) potrebbero andare ai coreani di Doosan. Allungando l’elenco acquisizioni straniere del miglior Made in Italy. Infatti, Valentino è della casa reale del Qatar. Gianfranco Ferré del Paris Group di Dubai. Bernard Arnault ha comprato Loro Piana, Fendi, Emilio Pucci, il 98,09% di Bulgari. Francois Henri Pinault Bottega Veneta, Sergio Rossi, Richard-Ginori. La Banca Nazionale del Lavoro fa parte del colosso francese Bnp Paribas. Cariparma è controllata da Crédit Agricole. Edison è di Électricité de France. Acea ha tra i suoi azionisti Gdf-Suez. Parmalat e Galbani sono andate alla francese Lactalis, Buitoni e Perugina alla svizzera Nestlè, Gancia all’oligarca russo della vodka Roustam Tariko, Carapelli, Sasso, Bertolli alla spagnola Deoleo, Algida e Antica gelateria del Corso alla svizzera Unilever. La Rinascente ai tailandesi di Central Retail. La Coin al fondo d’investimento francese Pai Partners… Senza contare che, ormai, in giro per il mondo si possono acquistare gianduiotti dichiaratamente turchi, ravioli svizzeri, birra sudafricana, chianti cinese, pelati giapponesi… Ma tutto questo conviene all’Italia? E soprattutto, è davvero necessario, considerando che è il Paese dagli immensi patrimoni (5° nella classifica europea della ricchezza finanziaria netta delle famiglie, dopo Svizzera, Belgio, Olanda e Gran Bretagna)? Patrimoni che, in realtà, si vedono sempre meno, tant’è che, in Italia, secondo Bruxelles, dal 2007 la produzione industriale è calata del 20% e attualmente chiudono 1.600 aziende al giorno. In effetti, nel 2012, secondo la Guardia di Finanza, in Italia l’evasione fiscale ha raggiunto la cifra record di 41 miliardi di euro (28 non denunciati e 13 finiti all’estero), praticamente una manovra finanziaria. E sempre più capitale tricolore finisce lecitamente all’estero (secondo il Fondo Monetario Internazionale, per esempio, dal giugno 2011 al giugno 2012 sono usciti dall’Italia 235 miliardi di euro!). Probabilmente questa emorragia va anche attribuita all’alta tassazione vigente nel Belpaese (dal 2003 tasse e imposte sono cresciute anche dell’80%!). Che, però, si permette i manager statali più pagati al mondo. Mentre la Corte dei Conti avverte che “gli sgravi necessari per riportare a livello europeo il prelievo sui redditi da lavoro e da impresa in Italia dovrebbero aggirarsi attorno ai 47 miliardi di euro (38 per i redditi da lavoro e 9 per quelli da impresa)”. E che sia! Forse l’emorragia che sta anemizzando lo Stivale si fermerebbe. E non ci sarebbe poi tanto bisogno degli investimenti stranieri. E del chianti cinese.
Pina Bevilacqua

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