SALUTE e MEDICINA
Comunicato Stampa

Gli ultimi attacchi all'omeopatia

L'articolo si propone di fornire una risposta articolata agli ultimi attacchi all'omeopatia formulati dal prof. Burioni

DALLA MEDICINA DELLE EVIDENZE ALL' EVIDENZA DI UNA MEDICINA ANCORA PRE-IPPOCRATICA

Con l'arrivo della Primavera, come spesso accade ormai da un po' di tempo nel nostro Paese, sono arrivati anche nuovi attacchi all'omeopatia, che hanno nel prof Burioni il loro principale sostenitore.

Aldilà della maniera sempre più o meno pittoresca e ben poco scientificamente divulgativa del prof. Burioni quando parla di omeopatia, e che evidentemente ha il solo scopo di convincere il maggior numero possibile di lettori indipendentemente dalle loro specifiche competenze e dal loro livello socio-culturale, i punti essenziali delle critiche di Burioni, sono quelli ormai da sempre conosciuti: l'imponderabilita' dei rimedi omeopatici, e da questo il loro presunto effetto placebo, e il fatto che l'utilizzo dell'omeopatia in patologie serie ne ritarderebbe le cure, favorendone la loro evoluzione.

A queste contestazioni, certamente lecite per medici e professionisti del settore che sono abituati a vedere la malattia umana come un evento limitato solo a uno o pochi organi, e a trattare i disturbi con sostanze ponderali di cui il meccanismo d'azione sarebbe unicamente spiegabile da reazioni di tipo biochimico, possiamo ribadire quelli che sono i capisaldi dell'omeopatia, che la differenziano dall'approccio tradizionale.

L'omeopatia basa la sua applicazione terapeutica su una serie di osservazioni e verifiche, che si sono succedute nel tempo, a partire da Hahneman, secondo il ben noto e scientifico metodo sperimentale.

La prima osservazione riguardava il fatto che la somministrazione ripetuta di sostanze provenienti dai tre regni della natura, a dosaggio inizialmente ponderale, provocava nelle persone la comparsa di sintomi, successivamente sempre meglio definiti diluendo le stesse sostanze oltre il numero di Avogadro, numero che identifica il limite oltre il quale in una soluzione non è più presente alcuna molecola del soluto, ma solo il solvente, opportunamente modificato, però, nella sua struttura molecolare dall'interazione dinamica con il soluto stesso, per mezzo di un numero elevato di forti scuotimenti della soluzione - sempre più diluita - noti come succussioni.

Ma c'è di più: la sommistrazione ripetuta di sostanze così diluite, provocava alterazioni nella persona che coinvolgevano al contempo sia l'aspetto fisico sia quello emotivo, evidenziandone così il suo carattere unitario.

Se queste sostanze, poi, così diluite venivano somministrate, diluite anche nel tempo, a soggetti malati, risultavano in grado di curare stati patologici naturali del tutto somiglianti ai quadri di malattia artificialmente indotti da ciascuna di esse, solo così, allora, opportunamente sperimentate nel loro potere tossicologico e, al contempo, ma a dosaggi decisamente inferiori, anche terapeutico.

Proseguendo nelle loro osservazioni, sempre a partire da Hahnemann, gli omeopati più acuti hanno sperimentalmente osservato che il criterio di somiglianza, per essere curativo fino in fondo, doveva essere applicato a sintomi individuali, che distinguono malati affetti da una stessa patologia, e che dunque rendono la cura il più possibilmente personalizzata o causale.

Da tutto questo che abbiamo sinteticamente descritto, derivano alcune definizioni della medicina omeopatica che dovrebbero essere conosciute da tutti i medici - solo così veramente ippocratici - indipendentemente da titoli e notorietà, e che spiegano sia ai medici, sia ai loro pazienti, il possibile insuccesso delle terapie allopatiche e/o ponderali, e gli effetti collaterali che ne derivano, e che spesso spingono i pazienti a cercare cure meno tossiche, ma quando ormai sono proprio queste che, per ovvie ragioni, risulteranno sempre meno (rapidamente) efficaci.

I principi a cui ci riferiamo, sulla base di quanto sopra scritto, sono: in primis quello di individuare sempre la minima dose di sostanza terapeutica di massima efficacia;  poi il principio di individualità morbosa e, quindi, medicamentosa, per cui non esiste solo la malattia da curare, ma bensì il malato che, per costituzione, temperamento ed esposizione ambientale e personale, conferisce ad ogni disturbo o malattia caratteristiche peculiari e distintive; infine la natura unitaria dell'essere umano, che si ammala sempre come fosse una cosa sola di mente e corpo, e come tale va sempre terapeuticamente trattato.

Solo dunque la conoscenza e l'applicazione di questi principi permette alla medicina di uscire dal suo empirismo, ancora tanto attuale, fino a renderla pienamente scientifica, in contrapposizione a quella, cosi tanto prevalente che, a ragion veduta, può essere per questo ancora definita pre-ippocratica.



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Francesco Candeloro (Titolare)
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