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GRAMIGNA (Agropyron repens): spesso vista come un'infestante, offre numerosi vantaggi per la salute

Pianta che cela dietro un´umile aspetto insospettate qualità salutistiche che la fanno preziosa e stimata in campo di fitoterapia. Svolge un´eccellente azione diuretica-ipotensiva, emolliente, depurativa del sangue ed essa si raccomanda in tutti i casi di malattie infiammatorie del fegato, della milza, delle vie urinarie, nella gotta, nell’artrite e nell’eczema.

FotoIn antichità la gramigna era chiamata “grano selvatico” (Agropyrum), perché vagamente somigliante alle spighe del grano, ma a causa della sua natura altamente infestante, lo danneggiava strisciando (repens) con il suo rizoma attraverso i campi . La gramigna (Elytrigia repens (L.) o anche Agropyron repens (L.)) è una specie erbacea perenne e latifoglia appartenente alla famiglia delle Poaceae e al genere Elytrigia molto comune nella maggior parte dell’Italia, Europa, Africa ed Asia. Nota anche come dente canino, per le sue proprietà terapeutiche è conosciuta anche come gramigna dei medici.

Alcuni altri suoi sinonimi sono: Triticum repens, Agropyron repens, Agropyron caesium, Agropyron leersianum, Elymus repens, Triticum glaucum. I nomi italiani con cui comunemente viene chiamata sono: gramigna comune, gramaccia, gramiccia, dente canino.

Può essere considerata una delle piante diuretiche e depurative per eccellenza. Il suo uso risale a tempi remotissimi ed era basato sull’osservazione dell’impiego istintivo che ne viene fatto dagli animali domestici. E’ utile non solo per promuovere l’escrezione di urina, e quindi l’eliminazione di acqua nei tessuti, ma per combattere le infiammazioni del rene, dell’intestino e del fegato.

Le proprietà della gramigna erano note sin dalla antichità. Dioscoride la consigliava nelle difficoltà di minzione, Plinio nei calcoli urinari e come potente diuretico. L’uso tradizionale della gramigna è ancora frequente nel nostro Paese; essendo molto comune ed avendo proprietà diuretiche e rinfrescanti, il decotto veniva preparato con il rizoma fresco da molte famiglie che vivevano in campagna, talvolta con parietaria e malva. Il sapore è leggermente zuccherino e la decozione fermenta con facilità per il contenuto degli zuccheri. Si tratta dunque di una bevanda domestica nella quale alle volte si aggiungeva ossimele per aumentarne le proprietà diuretiche; oppure la liquirizia che cambiava il sapore diventando simile a quello del cocco (1).

La formulazione del pregiato “graminis radix dulcis” appartiene ai discepoli della scuola Galenica; si tratta di un estratto acquoso del rizoma di gramigna, conosciuto principalmente per le proprietà delicatamente aperitive e diuretiche (2). Secondo Galeno, avendo un gusto “acqueo”, il rizoma è Freddo e Secco; “… imperò può ella consolidare le ferite sanguinose, fresche. … Oltre a quella sottilità, mordacità, che si ritrova essere nella radice, è veramente poca: benché soglia qualche volta la sua decottione bevuta rompere le pietre”.

A proposito della “sottilità” alla quale asserisce, Galeno aveva già scoperto, attraverso un’attenta osservazione, a dimostrazione del genio e dell’estremo impegno che lo hanno caratterizzato, oltre al fiuto fortemente sviluppato, che nel rizoma della gramigna vi erano degli oli essenziali.

Per Dioscoride “Giova ai dolori delle budelle decotta, alla vescica, a rompere le pietre della vescica… La radice tagliata e applicata alle ferite le salda… Cotta la radice nel vino medica i dolori delle budella, e conferisce all’orina ritenuta e all’ulcere della vescica, e rompe le pietre”. Le testimonianze si sono ripercosse nel tempo, oralmente ma soprattutto attraverso i testi; sono infatti tantissimi i medici che hanno sperimentato l’uso della gramigna da loro descritta.

Nel suo “Manuale di Farmacologia”, Giuseppe Meyer (1841), medico di corte, ordinario del seminario di S. Agostino, adopera la gramigna nelle malattie infiammatorie e nelle “febbri gastriche e billiose, nei catarri polmonari, nelle malattie organiche del petto e dello stomaco”; riporta inoltre il successo (testimoniato anche in altri testi da altri medici) suo e dei suoi colleghi sulle “lesioni del piloro… , sulle malattie organiche dello stomaco e del petto” guarite con il solo decotto del rizoma. Anche lui, come altri, rivela che è utile la somministrazione “nei dolori degli organi bassoventri”, come “nelle malattie cutanee”. 60 g di rizoma bollito in 1 litro di acqua fino a quando il volume si riduce della metà, da assumere nella dose di una tazza per volta, nel corso della giornata. Sono descritte anche le Virtù: “blando solvente, emolliente diuretico, fondente, antiflogistico, accrescente la recreazione delle membrane mucose, migliorante le qualità morbose dei fluidi”(3).

Valeriano Luigi Brera (1826), medico e patologo italiano, primario negli ospedali di Pavia e di Crema, utilizza un decotto di tarassaco e gramigna nelle “ostruzioni alla milza e del fegato”, ma più in generale nei “temperamenti collerici”. L’utilità in tali temperamenti è testimoniata anche da Georg August Richter (1833) il quale riferisce che “con la sola radice si guarisce dalla febbre biliare” (probabilmente conseguente alla malaria), ma ha anche avuto successo nel trattamento dell’itterizia, dei calcoli biliari e “delle affezioni della mucosa dei condotti biliari, quindi ne catarri cronici, nelle peripneumonie, ne tubercoli polmonari propensi ad infiammarsi di frequenti”. Richter riporta la sua ricetta, appartenente alla Farmacopea prussiana del tempo, molto simile a quello di Meyer: 120g e più di radice in 1,5 litri di acqua, bollire fino a quando il volume si riduce della metà, da assumere quando raffredda in tazze da te durante la giornata (4).

Il rizoma della gramigna ha avuto un successo non indifferente, degno di nota è infatti l’uso di numerosi e autorevoli medici come Gehard Van Swieten (1788), V. L. Brera (1826), Gaspare Federigo (1835), Friedrich Theodor Freichs (1879), Gilberto Scotti (1872); loro, peraltro, sono curiosamente accomunati dall’impiego della gramigna insieme alla radice di tarassaco nel trattamento dell’ittero e di altre problematiche del fegato. Quest’ultimo destina ai giorni nostri la testimonianza della scoperta della “cinodina”, molecola simile all’asparagina. Siamo nel 1827, il dott. Giovanni Semmola, impareggiabile medico e farmacologo italiano, primo a descrivere la Distrofia di Duchenne, scoprì questo nuovo alcaloide; si tratta però della gramigna rossa (cynondon dactylon) le cui proprietà ed il cui contenuto sono sovrapponibili alla gramigna descritta.

Il prontuario farmaceutico di Alessandro Ranzoli e Carlo Zucchi (1854) mette in risalto la validità della pianta nelle febbri come nelle infiammazioni, sottolineando quanto il decotto sia comune negli ospedali italiani “come diuretico nelle idropi e nelle malattie della pelle e come risolvente nelle ostruzioni addominali ed altre alterazioni dei visceri del basso ventre”(5).

Nicholas Culpeper (1698), e successivamente Joseph Miller (1722), confermano ancora una volta che il decotto “apre le ostruzioni del fegato e della bile, è utile alle ostruzioni dell’urina, nei calcoli e nelle ulcere vescicali e alle infiammazioni, facilita inoltre il dolore lancinante del ventre”. Il decotto o la distillazione del rizoma, assunti a digiuno, “uccidono i vermi nei bambini” (6).

Sir Henry Thompson, celebre chirurgo inglese, nel suo “The disease of the prostate” (1873) rivela, oltre a quanto già detto, che il decotto è utile nelle malattie della prostata, citando a tal proposito i successi di John Gerard (nel suo famoso “Herball”, del 1623); a prescindere dalla natura della patologia, egli riscontra una importante riduzione sia della frequenza sia del dolore della minzione con l’assunzione di un decotto di gramigna così fatto: 120 g circa di rizoma essiccato bolliti in 2 litri di acqua, fino a quando il volume si dimezza. Da bere entro 24 le ore.

Robert James, nel suo “Medicinal Dictionary” (1743), parla della gramigna in modo analogo: il decotto delle radici si beve “contro le lamentele, difficoltà ad orinare, ulcere della vescica, per rompere le pietre, come Dioscoride… è anche moderatamente aperiente e lenitivo”. La proprietà litontritica è ben sviluppata e dimostrata da molti documenti da Herman Boerhaave, medico, chimico e botanico olandese (7).

Questo rizoma non era usato soltanto per scopi medicinali, lo dimostra il fatto che è stato per molto tempo venduto nel mercato di Napoli come cibo per cavalli (8). Gli antichi egiziani inoltre usavano la polvere della gramigna essiccata mischiata alla farina per fare il pane, tale uso è poi stato imitato dai popoli settentrionali in tempi di carestia. I cani invece ne mangiano le foglie per procurarsi il vomito, a causa dell’irritazione che provoca nell’esofago. L’erba contiene polisaccaridi (triticina, inositolo, mannitolo, mucillagini) e un olio essenziale.

I rizomi striscianti comunemente chiamati stoloni costituiscono la droga di questa pianta e contengono un poliosio derivato del fruttosio, denominato tricitina, che è il responsabile della spiccata azione diuretica della pianta.

Un altro composto, l’agropirene, presente in discreta quantità nella gramigna, esplica una marcata azione antisettica e antinfiammatoria sui reni e le vie urinarie.

Per queste sue proprietà, l’azione terapeutica della gramigna porta beneficio in caso di:

• cistite
• stati infiammatori delle vie urinarie;
• reumatismi,
• artrosi,
• artrite
• iperuricemia.

È un diuretico efficacissimo, depurativo del sangue, colagogo (favorisce il deflusso della bile). Viene quindi usata nelle affezioni delle vie urinarie nonché della litiasi (calcolosi) urinaria e biliare, nelle oligurie (diminuzione dell’urina), nelle artriti e nelle affezioni reumatiche. Viene, ancora, tenuta in alta considerazione per la sua azione epatoprotettrice.

La gramigna è oggetto di oltre 22 pubblicazioni scientifiche (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/?term=Quackgrass%5BTitle%2FAbstract%5D)

ERBORISTERIA ARCOBALENO suggerisce l’assunzione di estratto spagirico SYS Gramigna. La SYS (Soluzione Idroalcolica Spagirica) si differenzia dalla classica tintura per il contenuto di principi attivi nettamente superiore in quanto il suo rapporto di estrazione minimo è di 1:5, ossia per ogni chilogrammo di pianta vengono utilizzati solo 5 litri di acqua/alcool. La macerazione delle piante avviene con un sistema denominato E.C.I. (Estrazione Circolativa Integrale) che è caratterizzato da temperature costanti mai superiori a 36°C e dalla lavorazione sottovuoto. L'estrattore E.C.I. unisce due fasi importanti della lavorazione spagyrica, la macerazione e la circolazione, in un unico passaggio. La concentrazione di pianta 1:5 che caratterizza tutte le SYS permette di ridurre del 50% il dosaggio normalmente consigliato di una tintura tradizionale.

Fonte: https://www.fabiomilardo.it/2020/05/16/gramigna-tradizione-e-usi-medicinali/

Bibliografia
1. Girolamo Tasso. Dizionario universale di materia medica e di terapeutica. Volumi 1-2. 1837.
2. John Leonard Knapp. Gramina Britannica, or representations of the British Grasses, with remarks. 1804.
3. Giuseppe Meyer. Manuale di Farmacologia. 1841.
4. Ricettario del signor cav. consigliere e professore Valeriano Luigi Brera Di Brera (Valeriano Luigi) 1825.
5. Georg August Richter. Trattato Completo Di Materia Medica. Prima Versione Italiana. Volume 1. 1833.
6. Carlo Zucchi, Alessandro Ranzoli. Prontuario di Farmacia. 1854.
7. Nicholas Culpeper. Culpeper’s Complete Herbal. With Nearly Four Hundred Medicines. 1698.
8. Sir Henry Thompson. The disease of the prostate. 1873.
9. James Edward Smith. English Botany. 1832



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