ECONOMIA e FINANZA
Articolo

Il cambiamento dell'Economia mondiale

03/03/08

L'ingresso sul mercato mondiale di Paesi come: Cina, Russia, Brasile, India e Corea.

IL CAMBIAMENTO DELL’ECONOMIA MONDIALE : L’INGRESSO SUL MERCATO DI CINA, RUSSIA, BRASILE, INDIA E COREA .
di Raffaele Pirozzi e Giuseppe .Biasco

Il dollaro perde ogni giorno di più il suo valore rispetto all’oro, all’euro ed alle altre monete. Wall Street, il mitico mercato finanziario di New York, registra andamenti altalenanti ed indirizzati verso il segno negativo.
Si susseguono i messaggi tranquillizzanti, che preoccupano ancora di più il mercato globale.
Che cosa sta succedendo realmente? E’ veramente crisi, oppure è solo una fase di assestamento di carattere temporaneo come molti si affannano ad affermare?
In economia non valgono le opinioni, contano solo i fatti ed i fatti sono: negli otto anni della Presidenza Clinton gli Stati Uniti sono cresciuti ad un tasso del 3,7% del PIL all’anno; dopo il 2001, la crescita è stata del 2,5% all’anno, ed ora è ulteriormente diminuita, fermandosi ad un 1,5%, che per gli americani rappresenta lo spettro della stagnazione. Il rischio che alla stagnazione economica si coniughi anche l’inflazione per gli americani è molto alto, perché il petrolio a 100 dollari ha fatto lievitare i costi dell’energia a livelli mai registrati.
Ecco perché la Banca Centrale americana continua ad abbassare il costo del denaro, nella speranza di sostenere in questo modo gli investimenti, mentre la Casa Bianca provvede a diminuire le tasse ai cittadini nella speranza di sostenere i consumi.
Molti organi di informazione specializzata, tendono a dare la colpa di questa situazione alla crisi dei mutui per l’acquisto delle case negli Stati Uniti, con il conseguente crollo di molte banche ed assicurazioni che travolgono il mercato azionario.
Certo, questo aspetto rappresenta l’effetto macroscopico di una crisi molto grave che viene dalle decisioni del Presidente Bush e del suo governo di aprire una drammatica fase bellica che ha coinvolto sia il Medio Oriente che l’Afghanistan.
Una crisi economica come quella americana nasce dalla guerra in Iraq e dalla difficile gestione della situazione in Afghanistan.
Oltre 4200 morti, decine di miliardi di dollari di spese accumulati in questi anni senza raggiungere il risultato voluto: il controllo delle fonti petrolifere insieme alla sconfitta del terrorismo integralista mussulmano.
Se a questa politica si aggiunge che fino ad oggi gli Stati Uniti non hanno siglato il protocollo di Kioto e quindi non sono in atto forme di risparmio energetico, e di controllo delle emissioni, il risultato è una economia di guerra che sorregge una industria bellica con i soldi dei contribuenti, mentre il mercato interno è invaso dai prodotti giapponesi, europei, cinesi ed indiani.
Aumentano i costi delle materie prime, il dollaro perde valore, i prezzi aumentano, il costo della vita diventa insostenibile, i cittadini a rischio di povertà aumentano, i mutui non possono essere pagati, crolla il mercato immobiliare, si sgonfia la bolla speculativa sulle assicurazioni ai mutui a rischio e crolla di conseguenza il mercato azionario.
Per il capitalismo le guerre sono importanti perché consentono una accelerazione dei cicli economici ed una spinta alla innovazione molto forte, che nei periodi di pace si sviluppa sempre in tempi sicuramente più lunghi.
Ma, una guerra persa diventa nel medio e lungo periodo un disastro economico che può trasformarsi in una fase di depressione tanto lunga quanto imprevedibile negli effetti.
La risposta a questa sconfitta politica economica e sociale, delle amministrazioni guidate da Bush è stato, il tentativo, ancora in corso. dell’allargamento del conflitto all’Iran, per continuare la guerra verso una impossibile vittoria.
Mentre Al Gore democratico ed ambientalista prende il Nobel per la pace per le sue campagne a favore dell’Ambiente, l’America democratica e liberal spinge Obama verso la Casa Bianca convinta dal suo slogan: “We can ch’ange!”(Possiamo cambiare).
Esiste una alternativa alla guerra ed alla sua economia fatta di morte e di distruzione, uno sviluppo sostenibile che consente una qualità della vita diversa da quella che stiamo vivendo tutti.
La crisi economica americana è grave, bisognerà aspettare le elezioni del prossimo Novembre per sapere quali saranno le vie di uscita da questa fase.
Ma, in ogni caso i tempi saranno abbastanza lunghi e porteranno a seri cambiamenti per il momento non completamente prevedibili.
Questa fase, appare così difficile, perché l’Europa e la sua incredibile capacità economica e politica non si muove come uno Stato Unitario, ha una debole politica estera, una scarsa convinzione nella sua moneta, una coesione interna troppo labile, mentre occorrerebbe una concezione completamente diversa del proprio ruolo e delle proprie capacità.
L’euro potrebbe sostituire il dollaro nelle contrattazioni, mentre potrebbe essere aperta una fase di pace strutturata in Medio Oriente, tale da consentire una uscita dalle guerre ed una ripresa della collaborazione internazionale su tutti i problemi in corso che condizionano lo sviluppo globale.
E’ il momento di un rilancio dell’azione europea, altrimenti si corre il rischio serio di essere coinvolti dal disastro economico americano con la certezza di vederci scaricare sulle nostre economie il pagamento del costo di una sconfitta militare, per una guerra che molti non avrebbero mai voluto che scoppiasse.
Il cambiamento in atto nell’economia mondiale è talmente evidente che impone nuovi e più seri comportamenti economici e politici per fronteggiarli. La presenza di Cina, Russia, Brasile, India, Corea, nella economia globale deve indurre a riflessioni serie da parte del mondo occidentale, che deve suggerire nuovi orizzonti di crescita e di sviluppo sociale.
Mettere al bando la guerra ed il terrorismo potrebbe essere un nuovo ed un buon punto di partenza.

Napoli, 03/03/08

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