AZIENDALI
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Il caso Aiazzone: come lanciare il sasso e nascondere la mano

21/10/11

Ma qual è stato, alla luce delle indagini del tribunale fallimentare, il cavallo di Troia che ha permesso all’azienda di Biella di entrare con tanta facilità nelle tasche degli italiani?

A marzo 2010 Renato Semeraro rispondeva così alle accuse che lo colpivano: “Posso accettare tutto, anche il fallimento professionale. Ma non son un ladro. E nemmeno un truffatore. Questo non lo accetterò mai e non è vero. Non ho portato via un centesimo dall’azienda”. Certo a distanza di anni e alla luce delle ultime vicende, il caso Aiazzone si è rivelato un po’ più di un semplice fallimento: la crisi aziendale ha portato alla luce numeri impressionanti.

Renato Semeraro, assieme a Gianmauro Borsano decide di dar vita ad un progetto che sulla carta si presentava tanto ambizioso quanto importante: risollevare le sorti economiche della Aiazzone, società degli anni ’80 con sede a Biella che si occupava di produzione cucine, salotti, camere da letto, attraverso la nuova azienda Panmedia. Quindi dal 1 agosto 2010 la vecchia Aiazzone in teoria viene sostituita dalla Panmedia anche se dipendenti continuano a far capo ai vecchi proprietari, gli stessi Renato Semeraro e Gianmauro Borsano. Dopo solo un anno le sorti dell’azienda apparivano già chiare: le centinaia di clienti che da tutta Italia si erano affidati al noto marchio Aiazzone, si trovavano ad aver versato caparre che andavano dal 10 al 30%, e a non aver mai visto l’ombra dei loro mobili. In seguito allo scontento delle migliaia di clienti e dipendenti in attesa di notizie rispettivamente dei loro mobili e dei loro stipendi, anche i TG nazionali e trasmissioni televisive come le Iene si sono occupate della questione, ma senza grandi risultati in termini di risarcimenti per le parti lese.

Tutta l’ira e le frustrazioni dei danneggiati dalla Panmedia (o Aiazzone che dir si voglia) è sfociata addirittura in un fuoo volontariamente appiccato il 2 aprile 2010 allo zerbino della sede Emmelunga di Corso Grosseto 336 , azienda finita assieme al resto del gruppo nelle mani di Giuseppe Gallo, amministratore di Panmedia. Solo l’intervento tempestivo dei vigili del fuoco ha permesso al fuoco di non propagarsi nel capannone, dove il disastro sarebbe stato assicurato. Nella mente dei disperati responsabili del gesto, che forse aspettavano ancora i mobili per soggiorni moderni, l’arredamento per il loro bagno, le cucine ecc. probabilmente sono venute alla mente le immagini della pubblicità, lo slogan «provare per credere» vanificati dalla mancata consegna dei mobili.

Proprio ieri il tribunale fallimentare ha reso noti alcuni dati relativi all’inchiesta:i creditori che si sono iscritti al fallimento sono 2.090, tra i quali verranno privilegiati , nella restituzione dei crediti, prima i 630 dipendenti, poi fornitori ed artigiani che hanno prestato il proprio servizio per la società. In coda alla lista ci sono purtroppo i tanti, troppi client. Solo quelli che hanno acquistato i mobili tramite un finanziamento, potranno rivolgersi alla finanziaria stessa per richiedere la restituzione delle somme. Ma qual è stato, alla luce delle indagini del tribunale fallimentare, il cavallo di Troia che ha permesso all’azienda di Biella di entrare con tanta facilità nelle tasche degli italiani? Com’è possibile che una società che ha incassato così tanto, fra arredamento moderno per soggiorno, letti, tavoli, armadi e oggettistica per la casa, si sia trovata immersa in queste sabbie mobili? Dove sono finiti allora i soldi?

Secondo la pubblica accusa, Gian Mauro Borsano (ex presidente del Torino calcio nonchè ex parlamentare socialista), Renato Semeraro, suo socio nella società «B&S», e Giuseppe Gallo, titolare di Panmedia(che dalla B&S aveva comprato la catena a marchio Aiazzone) avrebbero letteralmente svuotato quelle società del gruppo che erano indebitate con il fisco attraverso fittizie cessioni di immobili e di partecipazioni societarie, indirizzando tutti i debiti in alcune aziende, versando gli utili invece in nuove società, inaugurate ad hoc. Risultato finale, i tre imprenditori sono in carcere, tutti con le medesime accuse: bancarotta fraudolenta, distrazione documentale, sottrazione fraudolenta dal pagamento delle imposte e riciclaggio ma la data della restituzione dei rimborsi a tutte le parti lese è ancora lontano.

Articolo a cura di Serena Rigato
Prima Posizione srl- marketing aziendale



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