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Josyanne Cotena, Recensione a Roberto Pasanisi, 'Le «muse bendate»: la poesia del Novecento contro la modernità', IEPI

30/04/10

"Questo recente libro di Roberto Pasanisi, scrittore e rinomato esponente di una nuova generazione di italianisti, giovane ma già internazionalmente reputata, sviluppa una linea critica del tutto originale ed innovativa, ricca di stimolanti sviluppi per il futuro, aprendo nuove vie all’italianistica" (Josyanne Cotena)

Roberto Pasanisi, Le «muse bendate»: la poesia del Novecento contro la modernità, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000 (Prefazione di Costantin Frosin; Potfazione di Carmine Di Biase)



Questo recente libro di Roberto Pasanisi, scrittore e rinomato esponente di una nuova generazione di italianisti, giovane ma già internazionalmente reputata, sviluppa una linea critica del tutto originale ed innovativa, ricca di stimolanti sviluppi per il futuro, aprendo nuove vie all’italianistica.
Di particolare interesse appare la teoria e la prassi di analisi metricologica ideata da Pasanisi e da lui denominata Metroanalisi.
Una scorsa del Sommario ci dà un’idea della vastità degli interessi e del background culturale, che permettono allo studioso (accanto agli autori più amati: da D’Annunzio a Caproni) anche un’avvincente incursione nella francesistica, fra psiconanalisi e letteratura (Mallarmé): I. L’ `uomo-massa’ e la `morte della bellezza’: la coscienza dell’Occidente alle soglie del nulla; II. Il poeta tra le rovine. Fra `civiltà di massa’ e `morte dei valori’ una via oltre la modernità; III. «La ragione è diventata irrazionale e stupida»: `falsa soggettività’, `industria culturale’ e totalitarismo «al culmine del processo di razionalizzazione»; IV. Gli inferi e il paradiso: la `diversità dell’artista’ e la `morte dell’amore’ nella volgarità del mondo moderno; V. La forma della bellezza: la genesi della poesia di Mallarmé come specimen della lirica moderna; VI. Per una nuova scienza: teoria della Metroanalisi; VII. La `ripetizione creativa’; VIII. La `ripetizione onirica’: la rima del Poema Paradisiaco fra Psicoanalisi e Metricologia; IX. Il `significante onirico’: appunti per una Metroanalisi; X. Alla Nutrice: Metroanalisi d’una lirica `paradisiaca’; XI. Hortus conclusus: altra Metroanalisi d’una lirica `paradisiaca’; XII. Giorgio Caproni: l’assoluto e le cose; XIII. L’ `età dell’innocenza’. L’ `epica del quotidiano’ sul discrimine sublime fra realtà e desiderio; XIV. Ricerca linguistica e tradizione; XV. I segni dell’incanto: la `poetica della luce’; XVI. La poesia si aggira tra gli orrori delle metropoli, braccata dalla modernità; XVII. Il caos e l’eticità: un modello di poesia post-moderna; XVIII. Nostalgia dell’altrove: la poesia neo-umanistica; XIX. Trovarsi: una `poetica del quotidiano’alla ricerca del Sé perduto; XX. L’idillio infranto: uno specimen di poesia neo-provenzale; XXI. Le ragioni del sogno e della fede; XXII. Il tormento e l’estasi: `amore’ e `morte’ nel nome delle cose; XXIII. Rassegna di poesia contemporanea; XXIV. La poesia nelle riviste; XXV. Rassegna di saggistica sulla poesia contemporanea.
Il saggio è improntato ad una concezione singolarmente ‘alta’ della poesia, intesa non solo come luogo di conoscenza, ma anche come autocoscienza critica e bergsoniano «supplemento d’anima» nella moderna ‘società di massa’, resa sempre più disumana e totalitaria da una tecnologia schiavizzante e da un potere prepotente ed occulto, sotto le apparenze fantasmagoriche d’una sedicente ‘democrazia del consumo’.
Il volume si dispiega a partire dalla considerazione del rapporto dialettico intercorrente fra storia, società e letteratura, secondo modelli d’analisi che vanno dalla filologia tout court alla psicologia alla sociologia alla filosofia (Pasanisi è anche psicoterapeuta): la storia recente dell’Occidente — e la sua società —, infatti, pur nel brulichio fittissimo delle vicende che l’hanno drammaticamente percorsa lungo tutto l’arco di questo secolo, non hanno certo mancato di evidenziare alcune coordinate fondamentali attraverso le quali possono essere spericolatamente esplorati.
In effetti, delle linee principali attraverso le quali essa si è andata sviluppando, ne vengono individuate tre, che a mo’ di sotterraneo filo rosso scandiscono i tempi di questo secolo meraviglioso e tremendo: industrializzazione, tecnologismo e mercificazione; massificazione e involgarimento; ‘morte della bellezza’. Di fronte a codeste tre tendenze distintive, e al loro incombere sempre più incalzante, gli artisti non hanno mancato, ancóra prima dei filosofi, di levare il loro grido di dolore e di protesta: ancóra una volta, insomma, l’arte ha finito col configurarsi come la coscienza più alta e lucida della società, sola autentica erede, nelle sue illuminanti salvifiche accensioni, degli antichi profeti, manifestando pure, in questo modo, la sua moderna sacralità. L’arte è in ultima analisi, come dice Lausberg, «una raffigurazione mimetica (che ricostruisce, generalizza, rende evidente ed eleva) dei contenuti che illuminano l’esistenza». Insomma, una gnoseologia estetica ed un disvelamento: ovvero una forma di conoscenza altra e complementare, ma autonoma, rispetto alla scienza ed alla filosofia, attraverso la forma della bellezza.
In un’epoca di continui rivolgimenti, insomma di transizione come la nostra, non poteva non essere coinvolta la tradizione: effettivamente la ‘crisi dei valori’ è uno dei grandi segni distintivi del nostro tempo, in una società in cui anch’essi, come ogni cosa, sono ridotti a prodotto economico, dunque mercificati, e il denaro, e non più l’uomo, «è misura di tutte le cose». In tale cataclisma, neppure la bellezza, categoria ontologicamente ineludibile, come fine o come mezzo, dell’opera d’arte, riesce a trarsi in salvo da una lenta ma inesorabile agonia, desacralizzata com’è, fra l’altro, dalla sua «riproducibilità tecnica». «La perte d’auréole colpisce anzitutto il poeta.», che, disperato flâneur tra gli ‘orrori metropolitani’ delle ‘città tentacolari’, vede parallelamente vacillare uno dei suoi punti di riferimento più irrinunciabili, la donna, petrarchesco `strumento d’espressione’ da sempre deputato ad essere portatore del valore ‘bellezza’. Come dice Benjamin, già «il diciannovesimo secolo cominciò a inserire la donna, senza riguardi, nel processo della produzione mercantile. Tutti i teorici concordavano sul punto che la sua femminilità specifica era minacciata, e che tratti virili si sarebbero necessariamente manifestati in essa con l’andar del tempo. Baudelaire [...] questi tratti [...] vuole sottrarli alla sovranità del l’economico», suprema «protesta dell’arte moderna contro l’evoluzione tecnica.» Vano eroico tentativo, di fronte alla manus tentacolare della società: «Nel meretricio delle grandi città anche la donna diventa tale.» Infatti, «L’ambiente oggettivo degli uomini assume, sempre più apertamente, la fisionomia della merce. Nello stesso tempo la réclame si accinge a coprire col suo bagliore il carattere di merce delle cose. Alla trasfigurazione menzognera del mondo delle merci si oppone la sua disposizione in senso allegorico. La merce cerca di guardarsi in faccia. E celebra la sua incarnazione nella meretrice».
Accanto ad autori istituzionalizzati, vengono esaminati da Pasanisi — con personale visione critica — anche poeti di rilievo secondario, nella convinzione che essi, pur non destinati a lasciare una traccia indelebile nella storia della poesia del ‘900, sono degli specimina particolarmente illuminanti della temperie spirituale e delle linee della poesia di quest’ultimo scorcio di secolo: e questo anche perché la loro poesia appare meno formalmente elaborata e culturalmente stratificata di quella di scrittori di superiore qualità estetica.
Visto anche che, come scrive Horkheimer, «Al culmine del processo di razionalizzazione, la ragione è diventata irrazionale e stupida», la poesia risponde nel ‘900 più che mai a quel bergsoniano «supplemento d’anima» di cui l’uomo moderno avverte sempre più irrinunciabile il bisogno.
Presupposto del volume è, con Carlo Bo, l’avversione allo sperimentalismo fine a se stesso degli «eserciti di guastatori, illusi di favorire il futuro distruggendo soltanto il patrimonio del passato», bieco corollario di un vuoto culturale e creativo: «frutto di una sostanziale incapacità ad afferrare il mondo dei sentimenti» e di «una grave deficienza d’ordine morale», a causa delle quali «tre quarti della produzione letteraria odierna è votata all’autodistruzione»; perché, mentre «uno scrittore vero non è fatto soltanto per dire qualunque cosa in qualsiasi situazione», «lo scrittore nuovo obbedisce a un invisibile direttore d’orchestra che è quasi sempre o la moda o il gusto dell’imitazione o la convenienza del momento».
Del lavoro si apprezza non secondariamente il nitore desanctisiano dello stile, che congiura al valore non solo scientifico, ma anche estetico del libro.
Sottesa lungo tutto il saggio è infine la convinzione di Hugo Friedrich: «La lirica è rimasta comunque, nella sua potenza grandiosa e pur così lieve, una delle libertà e delle audacie con cui la nostra epoca riesce a sfuggire alle catene della funzionalità.»

Josyanne Cotena



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