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L'11 settembre 2001 dall'africa occidentale: una testimonianza narrativa su un giorno che cambiò il mondo (ici edizioni)

19/12/08

"Avendo con Giovanni Mengon una ormai lunga consuetudine di dialogo epistolare, so bene che ha la penna fluida ma intensa, così come fluido e intenso è quel suo pennello di pittore che non si accontenta mai di ritrarre, volendo soprattutto interpretare l’oggetto del suo sguardo. Non sapevo però che nelle sue sfide interiori Mengon avesse in animo di mettere alla prova le sue componenti umane e culturali anche nella scrittura lunga del racconto e del saggio. Ho quindi avuto sorpresa, curiosità e gusto di fronte a questa sua opera che è insieme saggio e racconto. E ci ho trovato la fluidità della penna, l’intensità dello sguardo, la coazione all’interpretazione, in un libro che si legge d’un fiato ma che ti lascia dentro una straordinaria quantità di sensazioni e di pensieri": così Giuseppe De Rita, Segretario Generale del Censis, su "L’11 settembre 2001 dall’Africa Occidentale", il romanzo di Giovanni Mengon uscito per i tipi delle Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli nella collana "La Bellezza", già diretta da Giorgio Saviane

Giovanni Mengon, "L’11 settembre 2001 dall’Africa Occidentale", Napoli, Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli, 2003



Avendo con Giovanni Mengon una ormai lunga consuetudine di dialogo epistolare, so bene che ha la penna fluida ma intensa, così come fluido e intenso è quel suo pennello di pittore che non si accontenta mai di ritrarre, volendo soprattutto interpretare l’oggetto del suo sguardo.
Non sapevo però che nelle sue sfide interiori Mengon avesse in animo di mettere alla prova le sue componenti umane e culturali anche nella scrittura lunga del racconto e del saggio. Ho quindi avuto sorpresa, curiosità e gusto di fronte a questa sua opera che è insieme saggio e racconto. E ci ho trovato la fluidità della penna, l’intensità dello sguardo, la coazione all’interpretazione, in un libro che si legge d’un fiato ma che ti lascia dentro una straordinaria quantità di sensazioni e di pensieri.
Colpisce subito quella capacità e volontà di “annusare le cose” (lo dico con partecipazione perché anch’io mi ritengo più un annusatore che un canonico ricercatore) che supporta tutto questo “diario africano”. Mengon guarda, scruta, intuisce, inala il respiro per capire le situazioni e gli ambienti che via via attraversa; e non passa mai oltre per fretta o per superficialità. Basta, a comprova, una sola citazione, di quando arriva a Freetown, città che alla vista gli appare “orrenda, marcia, cadente, sporca, disordinata, una vergogna”; e dove subito scatta la sua responsabilità a capire più in profondità: “il naturale istinto di esploratore, soprattutto delle cose strane e magari anche apparentemente assurde, mi diceva di non lasciar perdere questa che poteva essere un’occasione conoscitiva interessante”. Il racconto allora su Freetown diventa un’esplorazione d’anima della città e dei suoi significati antichi ed attuali.
Ecco, chi legge questo volume troverà sempre in ogni pagina questa duplice componente di Mengon: annusare il visibile, cercare con determinazione di andare oltre. E nell’andare oltre c’è anche un’altra componente della cultura, e dell’umanità, di Mengon: il rispetto e la valorizzazione delle diversità. Venendo da un mondo, quello occidentale, in cui si va perdendo la capacità di valorizzare la differenza (siamo tutti tendenzialmente “indistinti e seriali”) Mengon arriva in un mondo, quello africano, in cui sembra vincere l’omogeneità della povertà e l’indistinto degli atteggiamenti; ma non si arrende, va ad esplorare tutti gli anfratti, storici e attuali, di una diversità che è molto più profonda di ogni apparenza. Non si tratta solo di entrare dentro la “negritudine”, si tratta di capire culture minute, tradizioni diverse, magie incomprensibili, respiri d’anima individuali e collettive. Mengon è stato in parte aiutato, in questo scavo, dalla fortuita coincidenza del suo viaggio con la tragedia delle Twin Towers, tragedia fatta apposta per rivelare le diversità di cultura e non solo di opinione collettiva; ma ci ha messo molto del suo, della sua raffinata capacità di interpretazione.
Ci ha anche messo del suo perché nulla è espressione della diversità come il volto degli uomini ed egli ha guardato da pittore i volti di chi ha incontrato, vedendoli e rappresentandoli con grande intensità d’approccio. L’esplorazione d’anima di una città (Freetown) o di un paesaggio (il deserto) diventa spesso quindi esplorazione di volti talvolta scontornati e talvolta prossimi; esercizio faticoso perché ogni volto è apparentemente banale ed insieme intriso di profondità, ed il rischio è di perdersi in un’emozione immediata senza essere capace di ritrarre, capire, interpretare. Mengon ne è capace, forse aiutato dal mestiere di pittore; ma non dipinge, cerca il mistero dei tanti volti, di ogni altro volto. Attento alla loro diversità, ma proiettato verso la loro intima verità ed alterità: Levinas diceva che “il volto di Dio comincia dal volto dell’altro”, Mengon quando esplora i volti, con la penna o con il pennello, sembra seguire quella traccia.
Esplorare l’anima dei luoghi, cercare nel profondo la diversità, esplorare l’alterità ed unità dei volti; queste le tre componenti di questo “diario africano” che hanno attratto ed accompagnato la mia attenzione e che mi permetto di segnalare a chi avrà curiosità di leggere le pagine che seguono.

Giuseppe De Rita
(Segretario Generale del Censis)





Giovanni Mengon è nato a Piazzola di Rabbi (provincia di Trento) nel 1939. Ha operato nel mondo della scuola percorrendone tutti i gradini: insegnante, direttore, ispettore periferico, ispettore centrale, sovrintendente scolastico. Luoghi di lavoro: Trentino, Calabria, Sicilia, Veneto, Ministero dell'Istruzione con incarichi in varie Regioni d'Italia. Per conto del Ministero degli Esteri ha operato anche in Etiopia per tre anni quale direttore della scuola italiana, in Belgio per due, a Londra per tre anni quale Ispettore scolastico italiano per la Gran Bretagna. E' stato inviato anche all'estero: fra l'altro in Arabia Saudita ed a Lisbona. A parte le pubblicazioni professionali, da pochi anni ha scoperto la pittura (come «codice liberatorio di nuovo pensiero, stile simbolico-figurativo») e la scrittura: segnaliamo Rabbi, piccola patria e Italiani, tramonto di una razza? (Premio "Nuove Lettere" 2002 per il saggio edito), su un argomento che si rivela ogni giorno più attuale. L'11 settembre 2001 in Africa Occidentale viene pubblicato, con la prefazione di Giuseppe De Rita, in quanto vincitore come racconto inedito dell'XI edizione del Premio "Nuove Lettere" (2002).





L’Istituto Italiano di Cultura di Napoli(www.istitalianodicultura.org; ici@istitalianodicultura.org), in collaborazione con la rivista internazionale di poesia e letteratura “Nuove Lettere” (da esso edita), pubblica quattro collane editoriali: due di poesia (entrambe dirette da Roberto Pasanisi: una intitolata Lo specchio oscuro, l’altra — di plaquette — intitolata Nugae), una di narrativa (già diretta da Giorgio Saviane ed intitolata La bellezza) ed una di saggistica letteraria (già diretta da Franco Fortini ed intitolata Lettere Italiane).
Il Comitato di lettura delle Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli è costituito da Constantin Frosin (Lingua e Letteratura francese, Università “Danubius”, Galati; scrittore), Antonio Illiano (Lingua e Letteratura italiana, University of North Carolina at Chapel Hill), Roberto Pasanisi (Lingua e Letteratura italiana, Università Statale MGIMO di Mosca; direttore, Istituto Italiano di Cultura di Napoli; direttore, “Nuove Lettere”; rettore, Libero Istituto Universitario Per Stranieri “Francesco De Sanctis”, LIUPS; scrittore), Mario Susko (Letteratura americana, State University of New York, Nassau; scrittore), Násos Vaghenás (Teoria e critica letteraria, Università di Atene; scrittore) e Nguyen Van Hoan (Letteratura italiana e Letteratura vietnamita, Università di Hanoi).





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