SALUTE e MEDICINA
Comunicato Stampa

L’aborto farmacologico in Italia? Una corsa a ostacoli

Medici del Mondo cattura luci e ombre della situazione nel nostro Paese attraverso dati, interviste e testimonianze raccolti nel nuovo rapporto “Aborto farmacologico in Italia: tra ritardi, opposizioni e linee guida internazionali”. E lancia la campagna “The Impossible Pill” che, con il linguaggio ironico della comica Laura Formenti, attraversa l’Italia dalla Sicilia fino alla cima del Monte Bianco per denunciare le difficoltà di accesso all’aborto farmacologico, un diritto umano ancora troppo spesso ignorato.

FotoIl 28 settembre si celebrerà in tutto il mondo la “Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro”: un diritto che in Italia è garantito dalla legge 194 del 1978, ma che spesso nella pratica si trasforma in una corsa a ostacoli e contro il tempo. Nel nostro Paese, infatti, sebbene l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) sia una prestazione compresa nei LEA – ovvero nell’elenco di prestazioni e servizi essenziali che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini -, poco più della metà delle strutture ospedaliere la effettua, e la pillola abortiva (RU486) continua a essere considerata un farmaco rischioso, nonostante in Europa si utilizzi da oltre 30 anni e dal 2006 l’OMS la consideri un farmaco essenziale per la salute riproduttiva. Ma ci sono anche avanguardie, come la Regione Lazio che ha introdotto nel regime ambulatoriale la procedura at home secondo le linee guida internazionali, o come l’Emilia-Romagna che ha iniziato a distribuire la RU486 nei consultori.

È la fotografia, tra luci e ombre, che emerge dal nuovo rapporto “Aborto farmacologico in Italia: tra ritardi, opposizioni e linee guida internazionali” di Medici del Mondo, rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute, che evidenzia le ancora forti disuguaglianze nell’accesso alle pratiche abortive attraverso dati, interviste e testimonianze di personale sanitario, attiviste e pazienti raccolte in tutta Italia. Voci che accompagnano il viaggio della campagna “The Impossible Pill”, che, con il linguaggio ironico di Laura Formenti, attraversa il Belpaese dalla Sicilia al Monte Bianco per dimostrare e denunciare quanto l’Italia sia colpevolmente distante dalle direttive dell’OMS.

I NUMERI. 45 anni dopo la sua entrata in vigore, la legge 194 fatica ancora a trovare applicazione a causa delle forti frammentazioni nell’offerta di strutture e personale medico. Secondo i dati del Ministero della Salute, aggregati e risalenti al 2020, i consultori familiari che effettuano counselling per l’IVG e rilasciano certificati sono il 69,9% del totale, mentre le strutture con reparto di ostetricia e ginecologia che effettuano IVG sono il 63,8%. Inoltre, è obiettore di coscienza il 36,2% del personale non medico, il 44,6% degli anestesisti e il 64,6% dei ginecologi, con picchi dell’84,5% nella provincia autonoma di Bolzano, 83,8% in Abruzzo e 82,8% in Molise. Non solo: come ha rilevato la ricerca “Mai dati” dell’Associazione Luca Coscioni,

in 22 ospedali (e quattro consultori) italiani la percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario è del 100%, mentre in 72 è tra l’80 e il 100%.

Le discrepanze nell’accesso al servizio diventano ancora più evidenti rispetto all’aborto con metodo farmacologico, che si basa sull’assunzione di due pillole: il mifepristone (conosciuto come RU486) e, 48 ore dopo, il misoprostolo, della categoria delle prostaglandine. Si tratta di un metodo poco invasivo che la stessa OMS ha definito una procedura sicura e raccomandata per le interruzioni di gravidanza. Eppure, l’Italia è ancora molto in ritardo: la pillola abortiva è arrivata solo nel 2009 e negli anni sempre più persone l’hanno preferita al metodo chirurgico, passando dallo 0,7% nel 2010, al 20,8% nel 2018, fino al 31,9% nel 2020, con le percentuali più elevate registrate in Liguria (54,8%), Basilicata (52,5%) e Piemonte (51,6%). Numeri però ben lontani dagli altri Paesi europei: in Francia (dove la RU486 è stata introdotta già nel 1988) e in Inghilterra (nel 1990) gli aborti farmacologici sono oltre il 70% del totale (la percentuale supera il 90% nel Nord Europa), con la possibilità di somministrazione fino alla nona settimana di gravidanza e in regime di day hospital – possibilità che in Italia è stata introdotta solo nel 2020 con l’aggiornamento, da parte del Ministero della Salute, delle “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza”. Non solo: già diversi Paesi hanno adottato la telemedicina, pratica non consentita in Italia, dove ancora oggi la deospedalizzazione dell’aborto farmacologico è prevista solo in alcune regioni e con grandi differenze in termini di regole, accesso, applicazione. Proprio questa disomogeneità va ad alimentare le difficoltà, per le donne che vogliono accedere all’IVG farmacologica, a reperire informazioni sui metodi e le tempistiche, e a prendere un appuntamento, in tempi strettissimi, e magari in strutture a chilometri di distanza.

SICILIA. È il caso, ad esempio, della Sicilia, dove su 57 reparti di ostetricia e ginecologia solo 31 effettuano IVG e la RU486 è disponibile solo in ospedale. Oltre al sottodimensionamento dei consultori, c’è una grave carenza di personale: i ginecologi obiettori sono l’81,6%, con picchi del 100% in 26 strutture. A Catania l’IVG farmacologica non è disponibile in nessun ospedale, mentre a Messina solo il Policlinico somministra la RU486 e lo fa solo da qualche mese. Prima di allora, le pazienti dovevano recarsi a Palermo, a oltre 200 chilometri di distanza: all’Ospedale Cervello le IVG farmacologiche sono l’80% del totale e al Policlinico il protocollo avviato negli ultimi mesi del 2021 ha portato a una riduzione degli interventi chirurgici del 50-60%, con il 20% circa delle pazienti che arriva da Caltanissetta, Agrigento, Trapani e anche dalla Sicilia Orientale.

PIEMONTE. Diverso il caso del Piemonte, che da avanguardia italiana (l’Ospedale Sant’Anna di Torino ha avviato il primo studio sperimentale clinico nel 2005) è diventato terreno di uno scontro politico. Oggi le IVG farmacologiche si effettuano in praticamente tutti gli ospedali del Piemonte, prima regione italiana per numero assoluto di aborti farmacologici. Ma a ottobre 2020, la Regione, a guida centrodestra, ha diramato una “circolare di indirizzo sull’aborto farmacologico” che vieta la somministrazione della RU486 nei consultori e attiva negli ospedali “sportelli informativi” gestiti da associazioni antiabortiste. Inoltre, sebbene i consultori funzionino (le certificazioni qui rilasciate sono oltre il 60% del totale in regione), scarseggiano spazi, strumentazione e personale. Servirebbero quindi investimenti, ma la motivazione del divieto regionale sarebbe per lo più ideologica, anche alla luce degli stanziamenti – raddoppiati nel 2023 – al fondo “Vita Nascente” indirizzato a organizzazioni e associazioni antiabortiste.

LAZIO. Opposto il caso del Lazio: per promuovere “un percorso di civiltà per tutelare il diritto alla salute e il diritto di scelta delle donne”, a dicembre 2020 la Regione ha approvato un nuovo protocollo operativo per l’IVG farmacologica, diventando l’unica regione italiana a prevedere nel regime ambulatoriale la procedura at home, secondo le linee guida internazionali. Il servizio è attivo da maggio 2021 in alcuni tra consultori e strutture ambulatoriali ospedaliere nella regione. E con successo: nel 2022 solo al Centro per la Salute della Donna Sant’Anna di Roma sono stati eseguiti 418 aborti farmacologici in regime di day hospital, 139 in regime ambulatoriale (con procedura at home) e 390 aborti chirurgici. E le richieste sono in aumento, con l’arrivo di pazienti anche da altre regioni.

EMILIA-ROMAGNA. In questa direzione si è mossa anche la Regione Emilia-Romagna, che da settembre 2022 consente di accedere all’IVG farmacologica in consultorio – possibilità che, a giugno 2023, è prevista a Parma, Modena e San Giovanni in Persiceto, con riscontri molto positivi. Il motivo del mancato avvio a Bologna riguarda la mancanza di spazi e di personale, ma la città resta comunque ben presidiata dall’Ospedale Maggiore e, più recentemente anche dal Sant’Orsola. Stando ai dati dell’AUSL, nel 2022 a Bologna l’IVG farmacologica ha raggiunto l’80,4% dei casi, liberando la sala operatoria e impattando positivamente sul carico e l’organizzazione del lavoro. Anche qui, molte le donne che arrivano da fuori regione, come da

Lombardia e Trentino dove gli appuntamenti per la prima pillola possono richiedere settimane, che però le pazienti, per legge, non possono attendere.

THE IMPOSSIBLE PILL. “Abbiamo per te una missione impossibile: trovare la pillola RU486”. Inizia così, con una richiesta alla 007, il viaggio della comica Laura Formenti per “The Impossible Pill”, la campagna di informazione e sensibilizzazione che racconta il percorso a ostacoli che si trovano a percorrere tutte quelle persone che vogliono abortire. Si inizia a Palermo con l’associazione Maghweb, poi ad Ancona con il movimento femminista Non Una di Meno, quindi a Bologna con le attiviste di Mujeres Libres, e a Torino con Tullia Todros, l’ex Primaria del reparto di ginecologia e ostetricia dell’ospedale Sant’Anna. E si aggiunge qualche “extra”, come l’intervista social alla psicologa e attivista Federica di Martino che nel 2019 ha lanciato il gruppo “IVG, ho abortito e sto benissimo!” per diffondere una comunicazione corretta, superare “la retorica dell’interruzione volontaria di gravidanza come esperienza esclusivamente drammatica” e uscire dallo stigma della vergogna. Tappa dopo tappa, incontro dopo incontro, emergono le difficoltà a contattare i consultori e a reperire informazioni sull’aborto farmacologico e sull’iter per accedervi, il problema della controinformazione scientifica, il nodo dell’obiezione di coscienza e dei tempi troppo lunghi per ottenere un appuntamento che mal si adattano alle 9 (in alcune regioni ancora 7) settimane permesse dalla legge, fino allo stigma sociale sull’interruzione di gravidanza e alla solitudine in cui spesso si ritrovano le donne che decidono di abortire. Alla fine, Laura arriva sulla cima del Monte Bianco, uno dei luoghi più inaccessibili del Paese, e, con Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia, scopre che nel resto d’Europa così come in molte altre parti del mondo, compresi alcuni Paesi africani, accedere alla RU486 non è così difficile come in Italia, dove l’aborto è troppo spesso caricato di una valenza religiosa, politica e morale. Ma, finalmente, eccola lì: la pillola abortiva RU486 è all’interno di una teca trasparente, incastonata nel ghiacciaio della cima più alta d’Italia. Un’immagine forte, simbolo di protesta e della necessità di portare avanti una battaglia che è soprattutto di civiltà, perché l’aborto è un diritto umano che va garantito e difeso.

«Il viaggio raccontato in “The Impossible Pill” e i numeri e le testimonianze raccolte nel nostro nuovo rapporto fotografano un’Italia che procede in ordine sparso rispetto all’aborto farmacologico, con alcune buone prassi, molte differenze territoriali e diverse scelte locali che sembrano dettate più da motivazioni politiche o ideologiche che da evidenze scientifiche. Per Medici del Mondo promuovere e difendere l’accesso alla salute non significa solo fornire cure e assistenza, ma anche sostenere il cambiamento sociale e aiutare le persone a realizzarlo, perché le disuguaglianze nell’accesso alle cure, anche quelle abortive, non fanno altro che riflettere e amplificare le disuguaglianze sociali e di genere – spiega Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia. L’IVG è indiscutibilmente una questione di diritto: di diritti umani, di diritto alla salute, di diritto all’autodeterminazione, per poter decidere se e quando diventare madre. E riguarda anche il diritto di scegliere quale procedura – chirurgica o farmacologica, ospedalizzata o autogestita – sia più rispondente alle proprie necessità. Per questo, in quanto organizzazione medico sanitaria, raccomandiamo al Ministero della Salute di monitorare e assicurare da parte di tutte le Regioni italiane la ricezione delle linee di indirizzo emanate nel 2020 in tema di aborto farmacologico, nella loro interezza: la regolamentazione delle procedure abortive non può seguire logiche di tipo politico, ma solo criteri medico-scientifici».



Chi è Medici del Mondo. Medici del Mondo (MdM) è una rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute alle persone più vulnerabili, denunciare le ingiustizie di cui sono vittime e promuovere il cambiamento sociale. Oggi promuove circa 400 progetti in oltre 70 Paesi del mondo, così come attività di advocacy sia a livello europeo che internazionale. Nel 2020 nasce MdM Italia che, tra le varie aree di intervento, si occupa di salute sessuale e riproduttiva e ribadisce con forza che l’aborto è un diritto umano e un pilastro fondamentale dell’uguaglianza di genere. MdM ritiene che l’aborto libero e sicuro sia un’emergenza di salute pubblica, considerando che ogni anno 39.000 donne muoiono a causa di interruzioni di gravidanza realizzate in condizioni non sicure. Per questo MdM si impegna a fare pressione presso le istituzioni per ottenere una completa depenalizzazione dell’aborto.

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