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L’avvocato non deve introdurre e/o utilizzare nel procedimento prove, elementi di prova, o documenti, che sappia essere falsi -art. 50 del codice deontologico forense

09/03/21

L’art. 50 -‘dovere di verità’- del codice deontologico forense (cdf) stabilisce, per l’avvocato, il dovere di lealtà, correttezza e probità (indicati all’ivi art. 9).

FotoL’art. 50 -‘dovere di verità’- del codice deontologico forense (cdf) stabilisce, per l’avvocato, il dovere di lealtà, correttezza e probità (indicati all’ivi art. 9).

Testo, nelle parti di interesse, del citato art. 50 – ‘Dovere di verità‘, del codice deontologico forense (aggiornato al 12 giugno 2018):

“1. L’avvocato non deve introdurre nel procedimento prove, elementi di prova o documenti che sappia essere falsi.
2. L’avvocato non deve utilizzare nel procedimento prove, elementi di prova o documenti prodotti o provenienti dalla parte assistita che sappia o apprenda essere falsi.
3. L’avvocato che apprenda, anche successivamente, dell’introduzione nel procedimento di prove, elementi di prova o documenti falsi, provenienti dalla parte assistita, non può utilizzarli o deve rinunciare al mandato…

7. La violazione dei divieti di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni...”.

La previsione è ampiamente dettagliata e chiara nel formulare, a tutela del corretto esercizio dell’attività difensiva e del corretto attuarsi della funzione giurisdizionale (nonché per decoro e dignità professionale), l’esplicito divieto all’avvocato, in presenza di situazioni di falsità probatoria ad opera del proprio cliente (commi 1 e 2), di introdurre e/o utilizzare gli elementi (anche in ordine meramente deduttivo) che sappia essere falsi, dovendo finanche rinunciare al mandato, specie nella precisa circostanza in cui la conoscenza della falsità degli elementi avvenga solo successivamente, ovvero solo dopo che siano già stati introdotti nel procedimento (comma 3).

La sanzione per l’eventuale accertata violazione, in sede disciplinare, dei citati commi 1, 2, e 3, è sufficientemente pesante, prevedendo (comma 7) “…la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni…”.

Per cui ove l’avvocato si trovi nella qui argomentata condizione la sua scelta dovrà, doverosamente, privilegiare il decoro e la dignità professionale, nel rispetto della verità e della legge, arrivando finanche alla rinuncia al mandato.

Preme precisare che nella circostanza in cui ci si dovesse trovare di fronte a simili evidenti comportamenti scorretti -da parte dell’avvocato di parte avversa-, nella chiara evidenza del quanto, si potrà depositare, a suo carico (con prudenza, onestà, e rispetto dell’altrui persona e dignità, dichiarando solo i fatti da accertare), ampio, articolato, e preciso, esposto presso l’ordine degli avvocati di competenza (potrà farlo, personalmente, anche la parte interessata), affinché si possano accertare eventuali responsabilità e, ove l’accertamento sia in tal senso positivo, si possa, dunque, procedere alla commisurazione della sanzione prevista.
Stefano Ligorio



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