La pace impossibile
Quella tra Fini e Berlusconi.
LA PACE IMPOSSIBILE TRA FINI ED IL CAVALIERE.
di: Raffaele Pirozzi e Giuseppe Biasco
All’incontro, voluto ed organizzato da Gianni Letta, erano presenti anche La Russa e Bocchino, insieme all’onnipresente portavoce Bonaiuti. Era un incontro necessario e determinante sia per Fini che per Berlusconi. Questo anno, appena iniziato è pieno di importanti e decisivi appuntamenti che possono segnare l’intera legislatura e la carriera politica dei due leader del Partito delle Libertà.
Il risultato del colloquio, è stato un chiarimento tra i due leader che hanno ribadito con forza le ragioni del loro stare insieme, dichiarando al tempo stesso, la necessità di consultazioni periodiche e confronti ravvicinati per evitare qualsiasi ulteriore problema.
Che il colloquio sia stato molto diretto e franco, lo si leggeva su i volti tirati di La Russa e Bocchino, che hanno rilasciato dichiarazioni troppo distensive, per nascondere la tensione che pure ci deve essere stata nelle due ore trascorse a Montecitorio.
Non sappiamo se risponde al vero la frase che Gianfranco Fini abbia detto al Cavaliere: “Lavoro con te, non per te!” Una affermazione del genere,in politica significa: “Ritengo di esserti pari, sono un tuo alleato, per libera scelta e non per necessità e lavoro, anche per costruire il mio futuro e quello dei miei amici.” Una frase del genere, esprime ben le posizioni attuali del Presidente della Camera , che, ritiene sia necessario trasformare il Partito delle Libertà, da quel confuso ectoplasma politico che attualmente è, in un reale partito conservatore inserito nella destra europea, che accetta le regole democratiche del confronto parlamentare e che governa nel rispetto delle istituzioni.
L’incontro sembra aver prodotto un armistizio, che sul piano operativo non ha sortito nessun effetto eclatante. Sul piano delle candidature alle prossime regionali, Fini, oltre alla Polverini nel Lazio e Scoppelitti in Calabria-, non sembra per il momento aver ottenuto niente altro. Mentre Berlusconi, ha registrato una formale solidarietà sul piano personale e politico, ma non ha ricevuto nessuna delega in bianco da parte del Presidente della Camera sia sulle riforme che sul “pacchetto Giustizia” .Il confronto – scontro tra i due continua, ed investe molta parte del nostro paese.
Bisogna ammettere, che il sistema elettorale maggioritario, che aveva tra i suoi obbiettivi prioritari, la semplificazione della politica italiana, per il momento ha raggiunto solo l’obbiettivo della diminuzione del numero dei partiti politici presenti in Parlamento. L’endemica conflittualità della politica italiana, che negli anni scorsi si manifestava, con l’assurda proliferazione di piccoli partiti politici, oggi si è trasferita all’interno dei grandi partiti, nel P.D. e nel P.d.L. La politica in Italia è sempre più complessa e rissosa e sia il sistema elettorale, che la struttura istituzionale del nostro paese, sono inadeguate alla crescita civile della nostra società, mentre la politica appare disarmata nell’affrontare i problemi che la grave crisi economica sta provocando alla coesione nazionale.
In questo contesto, si sta consumando uno scontro nel centro destra italiano, molto più forte di quanto sembra, che coinvolge gran parte dei cittadini del nostro paese e che sta provocando guasti molto gravi sul piano sociale, che saranno difficili da recuperare nel futuro. La posizione di Fini è quella di trasformare il P.d.L. in un partito di stampo “Gollista”, che permetta una riforma di tipo Presidenziale della nostra Repubblica, seguendo l’esempio francese.
L’altra posizione, è quella che sostiene, che il voto popolare, legittima il Premier eletto, che nella sua azione di Governo non può essere nè contrastato, nè frenato da altri livelli istituzionali, perché è l’unico liberamente scelto dagli elettori. Secondo questa impostazione, il Parlamento, la cui maggioranza è determinata dal voto al Premier, il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale, i Giudici e la Magistratura, debbono venire dopo il Presidente del Consiglio eletto.
Secondo questa impostazione, per esempio, il Capo dello Stato non avrebbe il potere di sciogliere le Camere, non indicherebbe più il nome del Presidente del Consiglio, non sarebbe più il garante supremo della Costituzione Repubblicana, sarebbe solo il rappresentante della unità del paese; una figura formale, significativa, ma senza attribuzioni politiche. Questa proposta di riforma dello Stato, che spesso viene presentata secondo una versione molto estrema, non è realmente perseguita, ma solo agitata, sventolata , come una bandiera, soprattutto in occasione dei problemi giudiziari del nostro premier. Questa posizione, che non convince nemmeno molti dirigenti del P.d.L., è utilizzata come deterrente, ma nessuno è disposto ad attivare fino in fondo una proposta concreta di riforma di questo tipo. L’unico obbiettivo immediato che si vuole raggiungere è quello di salvare il premier dagli attacchi sempre più serrati della magistratura, che potrebbero portare ad elezioni anticipate, che nessuno realmente vuole. La vera riforma, che si cercherà di portare avanti, sarà quella proposta dalla Lega, che dopo il federalismo fiscale, vuole l’apertura di un percorso certo verso il Federalismo delle Regioni.
Un sicuro alleato, nel Governo e nel P.d.L., il Ministro delle Riforme Bossi, lo ha nel Ministro della Economia Tremonti.
In questi mesi di continua recessione economica e di calo della produzione industriale e dei consumi, nelle Regioni Settentrionali, si sta definitivamente radicando la convinzione, che il Nord può uscire dalla crisi, da solo e senza grandi problemi. E’ evidente che questa ipotesi è nettamente contraria ad una Repubblica presidenziale, con forti poteri centrali, con una forte presenza dello Stato in economia.
Berlusconi non è più l’unico a decidere della politica della coalizione, al contrario, subisce l’iniziativa della Lega. In questi ultimi mesi si è indebolito e lo si è notato. Nel P.d.L., ci sono parecchi gruppi che si scontrano, quelli che considerano determinante il rapporto con la Lega, quelli che sono contro Tremonti, quelli che sono per un maggiore rapporto con la Chiesa e mal sopportano gli attacchi di Feltri alla Curia, il gruppo dei Finiani di ferro, il gruppo degli ex AN, che appoggiano senza discussione il Cavaliere per continuare a mantenere le proprie posizioni di prestigio da poco conquistate. A questa confusione interna al P.d.L., si aggiunge l’U.D.C. di Casini, il Movimento Autonomista di Lombardo e Scotti, l’Udeur di Mastella e la nuova formazione di Rutelli. Tutti a contendersi un centro, che somiglia sempre di più ad una destra che spera di realizzarsi in assenza di Berlusconi. Se il Cavaliere non fosse più della partita, non escluderei da questo elenco lo stesso Di Pietro, che di sinistra non ha mai avuto niente, ma che è sempre stato pieno di populismo e decisionismo. La verifica di quanto stiamo affermando è tutta nella vicenda delle elezioni regionali, in cui regna sovrano l’opportunismo più totale, in cui tutti sono contro tutti e le alleanze sono diverse da Regione a Regione. In pratica si sta attuando nei territori un federalismo della politica in cui la coalizione che Governa il paese, non corrisponde a quelle che si stanno formando a livello locale. In questa confusione, si capisce perché il Governo cammina a vista, senza una reale strategia e quello che dice oggi, non vale domani. L’esempio della riforma delle aliquote IRPRF, prima annunciata e poi ritirata, è un chiaro segnale di debolezza.
In attesa del prossimo round, speriamo che la crisi attenui i suoi effetti e che le intelligenza degli italiani produca delle novità per continuare a sperare in un futuro diverso, se non proprio migliore.