SALUTE e MEDICINA
Comunicato Stampa

La sindrome metabolica e trattamento nutraceutico

L’importanza e la complessità della sindrome metabolica la rendono una delle patologie più importanti e più discusse dell’attuale “società del benessere”. La sua diffusione è diventata epidemica in quanto è riscontrabile in circa il 40% della popolazione al di sopra dei 40 anni e il trend attuale è preoccupante. Il livello di obesità nella popolazione sta crescendo in modo drammatico nella popolazione adulta e si può attualmente ipotizzare che nel prossimo futuro più del 50% delle persone sopra i 60 anni soddisferanno i criteri diagnostici di sindrome metabolica.

FotoLa Sindrome metabolica o “sindrome X” o “sindrome da resistenza insulinica” è un termine coniato dal prof.Gerald Raven (Università di Stanford) nel 1987. Si riferisce ad un insieme di “sintomi” legati a:
- resistenza insulinica e iperinsulinemia compensatoria da questa evocata;
- Obesità addominale;
- Dislipidemia aterogena;
- Ipertensione;
- Stato proinfiammatorio;
- Stato trombofilico.

Secondo la WHO la sindrome metabolica è caratterizzata da presenza di:
- Diabete tipo 2;
- Alterata glicemia a digiuno;
- Alterata tolleranza glucidica e uno o più dei da seguenti fattori:
I pertensione;
Trigliceridi >150;
HDL <35 (uomo) e <39 (donna);
8Ml >30;
Albuminuria >20 mcg/min.

Tra le cause della Sindrome metabolica si possono ascrivere un’alimentazione eccessivamente ricca di carboidrati raffinati associata ad una diminuzione dell’attività fisica. Entrambi questi fattori contribuiscono nel tempo ad una alterazione del controllo metabolico ormonale dell’insulina e conseguente resistenza periferica delle cellule bersaglio all’insulina. A sua volta la resistenza insulinica comporta un ridotto ingresso di glucosio nelle cellule normalmente sensibili ed un conseguente eccesso di glucosio ematico. Entrambe le situazioni inducono una maggiore stimolazione della ghiandola pancreatica a produrre maggiori quantità di insulina.

L’iperinsulinemia compensatoria così evocata può garantire inizialmente un discreto controllo della glicemia nel sangue, ma, nel tempo viene pagata dall’organismo a caro prezzo. Molti organi e tessuti non manifestano il fenomeno della resistenza insulinica, ma rimangono normalmente sensibili all’insulina e quindi ne subiscono i livelli eccessivi. Alla resistenza all’iperinsulinemia compensatoria, opposta dai tessuti muscolare e adiposo, derivano alterazioni biochimiche e fisiopatologiche che aumentano il rischio di malattie cardiovascolari, ridotta tolleranza al glucosio, dislipidemia (aumento colesterolo e LDL, riduzione HDL), ipertensione arteriosa, aumento della coagulabilità del sangue, iperuricemia e aumento delle PGE2 proinfiammatorie.

Tra i parametri emergenti per la valutazione del valore prognostico di questa malattia, assumono sempre più importanza i markers dell’infiammazione tra cui la Proteina C reattiva (hsPCR*) e l’inibitore dell’attivatore del Plasminogeno-1 (PAI-1). Il valore prognostico di elevati livelli di hsPCR è negativo ed esprime un elevato rischio di deplezione dell’immunità innata e di sbilanciamento pro-infiammatorio del sistema immunitario, entrambi fattori predisponenti all’evoluzione delle patologie cardiovascolari. Valori elevati di hsPCR sono infatti stati correlati sia ad una maggiore probabilità di eventi cardiovascolari che di evoluzione di diabete. Anche la disfunzione fibrinolitica accompagnata da elevati livelli di PAI-1 sembra assumere un ruolo centrale nella patogenesi degli eventi cardiovascolari e nella predisposizione all’aterosclerosi in pazienti con sindrome metabolica.

A lungo andare le alterazioni biochimiche ed organiche possono portare a dislipidemia aterogena, stato trombofilico, perdita di funzionalità della ghiandola pancreatica, ipertensione arteriosa e stato proinfiammatorio costante con evoluzione in diabete o malattia cardiovascolare. Oltre alle malattie cardiovascolari, ci sono sempre più evidenze scientifiche che la sindrome metabolica possa predisporre all’evoluzione di alcune malattie tumorali a causa dell’infiammazione, che crea la predisposizione alla trasformazione e crescita delle cellule alterate, e dell’iperinsulinemia in quanto questo ormone funge da fattore di crescita.

Il recettore dell’insulina è iper-espresso sia nei carcinomi colorettali che mammari, e li rende più suscettibili a questo ormone anabolico che stimola la proliferazione cellulare. Lavori condotti dal Prof. Berrino dell’Istituto Tumori di Milano hanno infatti dimostrato un effetto importante del controllo della glicemia nell’epidemiologia e nel controllo delle recidive di carcinoma mammario. Anche l’obesita’”a mela” è correlata ad una maggiore incidenza di malattie degenerative; ad esempio, nelle donne in post-menopausa, il tessuto adiposo diventa una delle principali fonti di produzione di estrogeni che fungono da fattori di crescita per il carcinoma mammario. Gli adipociti secernono inoltre molte citochine pro-infiammatorie (TNF-a, IL-6, IL-8, IL-lO, MIP-1 e MCP-1) per il fatto che si trovano in condizioni di ipossia e in questo modo stimolano la crescita di Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF) per la creazione di nuovi vasi (neoangiogenesi) nel tessuto adiposo. Le citochine pro-infiammatorie promuovono la resistenza insulinica e aumentano la circolazione dei trigliceridi, entrambe caratteristiche della sindrome metabolica, ma creano anche una condizione predisponente — acidosi e carenza di ossigeno — alla trasformazione neoplastica.

L’infiammazione è infatti stata correlata all’evoluzione di molti tipi di neoplasie, tra cui il carcinoma gastrico, pancreatico, epatico, vescicale e colorettale, in quanto influenza la crescita, l’apoptosi e la proliferazione delle cellule tumorali e stromali. Le cellule tumorali hanno un elevato tasso metabolico e per questo la loro richiesta di glucosio è elevatissima e ne hanno ottimizzato la captazione grazie alla sintesi di specifici trasportatori di membrana (GLUT-1, GLUT-3 e GLUT-12); l’aumento del glucosio ematico funge quindi da nutrimento specifico per eventuali cellule tumorali presenti.

E stato dimostrato che un’ aumentata captazione di glucosio da parte delle cellule tumorali, riscontrabile in presenza di elevata glicemia, è correlata all’evoluzione di tumori ad alto grado di malignità, con aumentato potenziale metastatico, ridotta risposta alla terapia e prognosi infausta. L’eccesso di glucosio ematico promuove anche la formazione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) che possono creare danni a strutture molecolari tra cui il DNA, provocando alterazioni che possono causare la trasformazione cellulare. Ancora il processo di glicazione non enzimatica delle proteine con produzione di AGE (Advanced Glication End products) scatena un aumento dello stress ossidativo tissutale, altra concausa della trasformazione neoplastica.

Lo stress ossidativo può essere aumentato anche dalla perossidazione lipidica che si viene a creare in presenza di un eccesso di LDL. I componenti della sindrome metabolica possono quindi concorrere alla promozione della trasformazione neoplastica attraverso una serie di diversi meccanismi che possono agire con modalità additive o sinergiche. Tutti questi meccanismi sono stati correlati all’obesità, alla resistenza insulinica, alla dislipidemia con elevate LDL e ridotte HDL, all’iperglicemia e all’infiammazione, tutti fattori riconducibili alla sindrome metabolica.

Questi dati denotano l’importanza di un intervento radicale che permetta di prevenire o trattare questa patologia prima che i danni possano diventare tali da causare lo sviluppo di patologie cardiovascolari, diabete o malattie tumorali. Oltre all’impostazione di un corretto stile di vita (riduzione ponderale, aumento dell’attività fisica e controllo nutrizionale), è importante trattare quelli che sono i fattori di rischio (dislipidemia, iperglicemia e ipertensione) per un approccio globale al controllo della malattia e delle sue possibili evoluzioni.

Tra le sostanze più efficaci nel trattamento dei fattori di rischio vi sono i funghi medicinali, in particolare Coprinus comatus, Ganoderma lucidum (Reishi), Grifola frondosa (Maitakc) e Lentinus edodes (Shiitake), un fitoterapico, Nopal (opunzia ficus indica) e un nutraceutico, il KriII.

Il Maitake (Grifola frondosa) è particolarmente indicato in caso di soprappeso ed obesità ed esplica una chiara attività ipoglicemizzante e antiipertensiva; per questo
motivo è particolarmente utile nel trattamento del diabete II non insulina dipendente. L’attività antidiabetica di questo fungo non è legata all’inibizione dell’assorbimento enterico del glucosio, ma al metabolismo del glucosio dopo il suo assorbimento.

Il meccanismo di azione si basa infatti sull’iper-regolazione effettuata sui recettori cellulari dell’insulina con riduzione dell’insulino-resistenza e aumento della sensibilità periferica all’insulina, ed una maggiore capacità di riconoscere il glucosio. La frazione isolata responsabile di questo effetto è la “Frazione X”.

Il Coprinus comatus o fungo dell’inchiostro, contiene Vanadio, minerale con effetto antidiabetico che si manifesta come sensibilizzazione delle cellule all’azione dell’insulina e protezione e revitalizzazione delle residue beta cellule pancreatiche. In un recente studio è stata valutata l’efficacia del fungo in ratti resi iperglicemici dalla somministrazione di Alloxana ed Adrenalina. Dopo la somministrazione del fungo l’iperglicemia indotta da Alloxana è diminuita significativamente (p
E’ il più importante fungo con effetto antidiabetico: 90 minuti dopo l’assunzione della polvere la glicemia si riduce di circa il 41%, 3 ore dopo persiste una riduzione di circa il 30% e 6 ore dopo c’è ancora una glicemia ridotta del 20%. Il Coprinus Comatus agisce quindi come un vero antidiabetico orale ed è privo di effetti collaterali.

Lo Shiitake o Lentinus Edodes è probabilmente il fungo maggiormente efficace nel trattamento dell’ipercolesterolemia; l’effetto ipocolesterolemizzante del fungo aggiunto alla dieta è netto e porta al 20% di riduzione dell’assorbimento; dopo 5 ore dall’assunzione di un pasto a base di questo fungo i livelli di colesterolo calano del 30-40%. L’effetto ipocolesterolemizzante si manifesta maggiormente nel giovane in quanto funziona meglio nel soggetto con una buona reattività, tuttavia è significativo anche nel soggetto anziano.
Ha un ruolo importante nella prevenzione delle patologie cardiovascolari perché previene i depositi di colesterolo e contrasta la formazione della placca ateromasica. Esercita anche un’azione alcalinizzante che lo rende utile nella prevenzione e trattamento dell’acidosi metabolica. Per queste sue proprietà è indicato nei casi di ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, steatosi epatica, obesità, aritmia cardiaca, iperuricemia, gotta, astenia, e nella prevenzione dell’aterosclerosi e delle malattie cardiovascolari.

Il Reishi o Ganoderma lucidum è annoverato tra le 10 sostanze naturali più efficaci. In Cina e in Giappone è considerato il fungo dell’immortalità. E’ considerato un grande adattogeno, la miglior scelta per uno stimolo generale dell’organismo ed un sostegno antisenescenza. Vari studi hanno dimostrato che questo fungo ha benefici effetti a livello cardiovascolare grazie alla sua azione di inibizione dell’aggregazione piastrinica e di riduzione dell’ipertensione con un meccanismo simil ACE inibitore. Ulteriori effetti benefici a livello cardiocircolatorio si hanno indirettamente per la sua azione ipocolesterolemizzante che si esplica attraverso una inibizione della sintesi di colesterolo endogeno per inibizione della HMG-CoA Reductasi, una riduzione dell’assorbimento enterico di colesterolo e uno stimolo della funzionalità e della detossificazione epatica. Esercita anche un’importante azione antinfiammatoria: un interessante studio ha dimostrato che 50 mg di polvere di Reishi hanno un effetto antiinfiammatorio corrispondente a 6 milligrammi di idrocortisone (triterpene ad azione cortison-like) e questo spiega i suoi benefici e rapidi effetti in caso di patologie infiammatorie croniche in generale. Indicazione all’utilizzo di questo fungo è la presenza di ipercolesterolemia anche familiare o da stress, l’ipertensione, la presenza di problemi cardiovascolari (aritmia, dispnea, precordialgie, palpitazioni), la stanchezza e l’intossinazione epatica, ma anche la presenza di uno stato infiammatorio e la tendenza ad una maggiore coagulabilità del sangue.

Il Krill antartico è costituito da crostacei dell’ordine Euphausiacea che compongono lo zooplancton; contiene: omega 3 (EPA e DHA), fosfolipidi (fosfatidilcolina, fosfatidilinositolo e fosfatidiletanolamina), antiossidanti, vitamine, chitina, astaxantina. Uno studio clinico di fase II a doppio cieco contro placebo di 120 soggetti per 6 mesi ha paragonato l’azione del Krill (1-3 g/die) e dell’olio di pesce (180 mg EPA e 120 mg DHA per grammo di olio -3 g/die). I risultati hanno dimostrato che il Krill, a dosaggi inferiori, è più efficace con importanti risultati nel controllo della glicemia e nel riequilibrio del profilo lipidico.

L’utilizzo dei funghi medicinali unisce il lavoro sui parametri ematochimici alterati in corso di sindrome metabolica ad una potente immunomodulazione che potenzia l’azione dell’organismo nel riconoscimento e distruzione di eventuali cellule tumorali.

* hsPCR= PCR alta sensibilità.
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Fonte: Dott.ssa Stefania Cazzavillan



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