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Lacan: gli animali sognano e il filosofo va in panne...

07/10/11

Lacan è fermamente convinto che non ci sia desiderio e dunque inconscio, nella vita animale; questo può essere “immaginato”, solo in base all’inconscio umano e a meccanismi di transfert in atto verso l’animale. Ma se Lacan afferma che gli animali non hanno inconscio, non hanno accesso al "simbolico", perché non ci spiega com'è possibile che gli animali sognino?

Entriamo subito in argomento: secondo Derrida, con “Sovversione del soggetto” di Jacques Lacan si passa da una negazione etica a un’altra.
Derrida si propone dunque di considerare dapprima “alcuni testi anteriori di Lacan, laddove […] sembra che annuncino contemporaneamente una mutazione teorica e una conferma stagnante dell’eredità, dei suoi presupposti e dei suoi dogmi”[1].
Laddove, cioè, sembra che Lacan voglia aprirsi a una considerazione non dogmatica dell'animale.

Ne “Lo stadio dello specchio”, Lacan considera la funzione speculare nella sessualizzazione dell’animale. È una riflessione nuova: la sessualità dell’“animot” era stata ignorata dalla tradizione tanto quanto l’irriducibile diversità fra le specie animali.
Nonostante ciò, resta presente una fortissima limitazione: il passaggio attraverso lo specchio blocca l’animale nelle reti dell’“immaginario”, non permettendone l’accesso al simbolico, ovvero a tutto ciò che si pensa costituisca il proprio dell’uomo.
La linea di demarcazione, quindi, stavolta non si chiama ego cogito, né "dignità". I termini sulla linea, stavolta, sono "simbolico" e "inconscio".

Lacan porta l’esempio della colomba, ove la maturazione della gonade, come provato da “esperimenti biologici”, richiede la vista di un congenere. Questa semplice situazione, la colomba che davanti allo specchio matura la gonade, diviene di notevole interesse se collegata alla questione dell’identificazione del proprio sé.
Capita di rado di incontrare un filosofo moderno occidentale che prima di istituire la differenza tra noi e gli animali si sofferma a valutare effettivamente certi comportamenti di una specie animale.
Ma Derrida ha motivo di lamentarsi, poiché tale possibile apertura viene subito frustrata dalla ferrea e consequenziale chiusura collegata all’inconscio, al linguaggio e alla soggettività.

Lacan è fermamente convinto che non ci sia desiderio e dunque inconscio, nella vita animale; questo può essere “immaginato”, solo in base all’inconscio umano e a meccanismi di transfert in atto verso l’animale.
In sostanza Lacan punta il dito contro le proiezioni umane nell'interpretazione della vita animale. Tutti d'accordo sul fatto che questa consuetudine esista, ma quello che afferma Lacan è: sono solo nostri transfert. Lacan non dice: l'animale ha un'individualità differente, ha un inconscio (questione fondamentale, nel pensatore francese) per noi inconoscibile.
Lacan dice: sono solo nostre proiezioni. L'animale non ha inconscio, non ha "il simbolico", non ha il linguaggio, non ha un io.

Al fine di distinguere la pulsione inconscia dall’istinto e dal “genetismo” animale, Lacan scrive che l’animale non può avere “in lui” l’inconscio, e che “nel tempo propedeutico, si può illustrare l’effetto di enunciazione domandando all’allievo [un ipotetico allievo] se immagina l’inconscio nell’animale senza qualche effetto di linguaggio, e del linguaggio umano”[2].
Derrida definisce “ridicola”[3] la logica di questo passaggio: “La tesi è chiara: l’animale non possiede né l’inconscio né il linguaggio, né l’altro, se non per effetto dell’ordine umano, per contagio […]”.

In sostanza, privando l’animale dell’accesso al simbolico, all’inconscio e al linguaggio, e descrivendone la semiotica in modo dogmatico e tradizionale, Lacan torna ancora una volta a concedere all’animot solo reazioni e non risposte. Lacan riconosce all’Altro-animale un codice che non è propriamente linguaggio in quanto è solo un “sistema di segnalazioni” bloccato nella fissità di una codificazione.

In “Funzione e campo della parola…” attraverso l’esempio delle api, Lacan oppone espressamente la reazione alla risposta come il regno animale al regno umano, in un discorso che Derrida definisce “letteralmente cartesiano”, dove peraltro, lo ricordiamo, è sempre in ballo il nostro essere uomini, definito per contrasto subordinando gli animali.


Analizziamo un passaggio in particolare: “[Riguardo a quanto è possibile osservare nel comportamento delle api] si tratta di un linguaggio? Possiamo dire che se ne distingue precisamente per la correlazione fissa dei suoi segni con la realtà che significano. In un linguaggio infatti i segni traggono il loro valore dal rapporto degli uni con gli altri, nella ripartizione lessicale dei semantemi così come nell’uso posizionale, o flessionale dei morfemi, che contrasta con la fissità della codificazione messa in gioco nel nostro caso. […] Per di più se il messaggio del modo qui descritto determina l’azione del socius, non è però mai ritrasmesso da quest’ultimo”. Lacan conclude: “Ciò vuol dire che esso rimane fissato alla sua funzione di relais dell’azione, da cui nessun soggetto lo distacca in quanto simbolo della comunicazione stessa”[4]. Quindi, nonostante il barlume d’apertura intravisto riguardo alla sessualità, Lacan non pensa nemmeno lontanamente d’attribuire all’altro animale una soggettività.
Proviamo, insieme a Derrida, ad analizzare queste riflessioni lacaniane.

Il senso di “inquietudine” che Derrida va esperendo si trova “aggravato” nelle tesi lacaniane, quando “bisogna prendere in considerazione una logica dell’inconscio che dovrebbe impedirci ogni assicurazione immediata nella coscienza della libertà che suppone la responsabilità” e soprattutto quando, in Lacan, “la logica dell’inconscio si fonda su una logica della ripetizione che, secondo me, inscrive sempre un destino di iterabilità, dunque un qualche automatismo della reazione in ogni risposta, per quanto originario, libero, decisionale e non-reazionale possa apparire”.

Soffermiamoci ancora sulla questione dell’inconscio. Vorrei aggiungere una mia riflessione. Qualcosa che nella sua semplicità può forse dare l'idea della superficialità delle tesi lacaniane.
È ormai appurata in moltissimi animali un’attività cerebrale durante il sonno interpretabile come attività onirica.

Ovvero: molti animali sognano. Lo sappiamo tutti e la scienza lo conferma.
Prendiamo l’esempio dei cani. Durante l’attività onirica non è raro osservare dei movimenti delle zampe che generalmente fanno pensare che l’“animot” in questione stia sognando, e sognando qualcosa di specifico.

Cosa starà sognando quel cane?
Secondo me è una domanda davvero affascinante.

In questa sede non possiamo analizzare a fondo l’argomento, ma possiamo facilmente chiederci: è più fantasioso e bizzarro, appoggiandoci a questi dati, credere che l’animale che sta sognando abbia un “inconscio”, benché inconoscibile, o credere che sia del tutto sprovvisto d’inconscio e che le manifestazioni oniriche avvengano "così", senza di esso?
Se Lacan afferma che gli animali non hanno inconscio, non hanno accesso al "simbolico", perché non ci spiega com'è possibile che gli animali sognino? Come è potuto accadere che un pensatore del suo calibro non abbia considerato una simile evidenza?
Lacan dice: noi umani sogniamo. Abbiamo l'inconscio, siamo degli "io".
Gli animali sognano.
Qual è il risultato? Che gli animali hanno un inconscio e un io?
No.
Lacan non prende in considerazione un simile ragionamento.

Dato l’interesse delle riflessioni sollevate da Lacan, spingiamoci ad analizzare quanto scrive in “Sovversione del soggetto”. In questo testo, continua Derrida, l’affinamento dell’analisi si sposta su altre distinzioni concettuali, altrettanto problematiche. Scrive Lacan: “Osserviamo tra parentesi che questo Altro distinto come luogo della parola s’impone anche come testimone della Verità. Senza la dimensione che esso costituisce, l’inganno della parola non si distinguerebbe dalla finta che nella lotta combattiva o nella parata sessuale ne è tuttavia ben differente”[5].
Ed ecco quindi che la figura animale viene a delinearsi nella differenza tra finta e inganno. L’animale è capace di una finta “strategica” ma è incapace di testimoniare l’inganno della parola nell’ordine del significante e della verità (questa peculiare notazione, infatti, costituirebbe una transizione verso la Soggettività). Questo inganno è la menzogna in quanto “comporta, promettendo il vero, la possibilità supplementare di dire il vero per ingannare l’altro”.


L’animale è incapace di questa finta di secondo grado, di questo “potere riflessivo di secondo grado”, la capacità di fingere di fingere. Qui troviamo una nuova parziale apertura di Lacan nei confronti dell’Altro-animale: gli attribuisce la possibilità della finta, ad esempio nella danza di seduzione o nella coreografia della caccia: una capacità che definisce come la “dansità” dell’animale. Tuttavia, Lacan afferma: “Un animale non finge di fingere […] E nemmeno cancella le proprie tracce, il che per lui sarebbe farsi soggetto del significante”.
Ma su cosa si fonda l’affermazione che l’animale non è in grado di fingere la finta? Come si può nel comportamento animale individuare un chiara e netta delimitazione riguardante la finta della finta?
Il lettore penserà che c'è qualche porzione di testo, riguardo alla finta di secondo grado, in cui Lacan porta avanti degli esempi chiarificatori. In cui Lacan spiega tutto. Il problema è che la parte in questione non c'è.

Inevitabilmente Derrida sottolinea: “Lacan qui non si rifà ad alcun sapere etologico (il cui affinamento crescente e spettacolare è proporzionale all’affinamento dell’animot) né ad alcuna esperienza, osservazione, attestazione personale degna di fede. Lo statuto dell’affermazione che rifiuta all’animale la finta di finta è di forma semplicemente dogmatica”.
Negli stessi esempi lacaniani della danza seduttiva o della lotta è impossibile fornire dei criteri per distinguere una finta da una finta di finta. Lo stesso discorso vale per l’affermazione che l’animale, in generale, non cancella le sue tracce; e d’altronde, specialmente da un punto di vista psicanalitico, neanche l’uomo è pienamente in grado di cancellare le sue tracce, in quanto la cancellazione della traccia lascia comunque una traccia il cui sintomo potrà sempre riaffiorare.



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