Paola Mazzucchi, ''La forma delle emozioni. La ‘poesia gestaltista’ di Roberto Pasanisi''
"Sin dagli esordî, pur nell’abbagliante varietas di linguaggi e di temi, la poesia di Roberto Pasanisi si è contraddistinta per la strenua coerenza del suo sviluppo, al di là d’ogni schema scolastico o di maniera: rifiutando qualsiasi compromesso con le mode culturalli dell’ultimo decennio, inclusi gli estremi epigoni della Neo-avanguardia, il poeta napoletano è andato via via approfondendo una sua ricerca personale e solitaria, approdata ad un linguaggio di raffinata, spericolata originalità e ad una concezione singolarmente ‘alta’ della poesia, intesa non solo come luogo di conoscenza, ma anche come autocoscienza critica e bergsoniano “supplemento d’anima”1 nella moderna ‘società di massa’, resa sempre più disumana e totalitaria da una tecnologia schiavizzante e da un potere prepotente ed occulto, sotto le apparenze fantasmagoriche d’una sedicente ‘democrazia del consumo’ (dando anche, fra l’altro, una sorta di ‘corrispettivo poetico’ della Weltanschauung francofortese, un’originalissima ‘teoria critica’ attraverso la poesia). [...] La Bellezza è il frutto di una grande lotta: i poeti come Roberto Pasanisi, nel tempo della povertà (qual è il nostro), servono a far rinascere il senso della ‘patria perduta’, insomma della Bellezza; non ce la restituiscono, ma ci fanno sentire il dolore della sua assenza e lo struggimento inappagabile ma dolcissimo del suo desiderio" (Paola Mazzucchi, "La forma delle emozioni. La ‘poesia gestaltista’ di Roberto Pasanisi", in “Nuove Lettere”, II, 3, 1991, pp. 63-70)
Paola Mazzucchi
La forma delle emozioni.
La ‘poesia gestaltista’ di Roberto Pasanisi
Sin dagli esordî, pur nell’abbagliante varietas di linguaggi e di temi, la poesia di Roberto Pasanisi si è contraddistinta per la strenua coerenza del suo sviluppo, al di là d’ogni schema scolastico o di maniera: rifiutando qualsiasi compromesso con le mode culturalli dell’ultimo decennio, inclusi gli estremi epigoni della Neo-avanguardia, il poeta napoletano è andato via via approfondendo una sua ricerca personale e solitaria, approdata ad un linguaggio di raffinata, spericolata originalità e ad una concezione singolarmente ‘alta’ della poesia, intesa non solo come luogo di conoscenza, ma anche come autocoscienza critica e bergsoniano “supplemento d’anima”1 nella moderna ‘società di massa’, resa sempre più disumana e totalitaria da una tecnologia schiavizzante e da un potere prepotente ed occulto, sotto le apparenze fantasmagoriche d’una sedicente ‘democrazia del consumo’ (dando anche, fra l’altro, una sorta di ‘corrispettivo poetico’ della Weltanschauung francofortese, un’originalissima ‘teoria critica’ attraverso la poesia).
È importante citare, a questo proposito, un suo corollario, il tema della figura femminile, e dunque della bellezza, asservita agli imperativi del capitale e benjaminianamente mercificata ed involgarita, uno dei Leitmotiv della poesia pasanisiana: liriche come Serenata ad Amarillide, Il ritorno di Casanova ed Una speme2 ne sono gli specimina più significativi. Altrove, tuttavia, la donna mantiene, montalianamente, una lontana e problematica funzione salvifica: se una delle atmosfere caratteristiche della poesia pasanisiana è quella d’una sorta di schoenberghiano labirinto sotterraneo, evocato con una tecnica linguistica per molti aspetti vicina alla dodecafonia3, la metafora ricorrente di questa inafferrabile e pur sempre inseguita ‘donna-musa’ viene ad essere quella della luce che “in cima al pozzo / barlùmina [...]”, del barbàglio di luce che “[...] indica il cammino”4, ma solo per un fuggente attimo d’eternità (“e solo a tratti riluccica dall’alto / la luce che mi guida”5), che va còlto ad ogni costo (“basta un attimo a smarrirsi / a vanire il lavoro di anni”6). È interessante notare, a questo proposito, come le metafore della fuga e della luce si estendano metonimicamente anche alla donna stessa: “Ma è difficile inseguire / il filo incandescente / còlto nei filamenti del tuo sguardo / nel balùgino dei tuoi capelli / al lume della luna”7 (dove sono ben visibili anche le suggestioni classiche — ma originalmente rivissute — d’una poesia ricchissima dal punto di vista culturale, a cominciare dagli stilnovisti fino a Leopardi ed al neo-platonismo jimeneziano).
Legata alla figura femminile è anche la metafora del viaggio alla scoperta di terre lontane ed incognite, ma fascinosamente attraenti come misteriose sirene: già in poesie come Ulisse, Incantesimo, Perdute isole celesti... (notturno)8, fino a Sulla rotta di Magellano9, l’intrepido esploratore è il poeta stesso alla ricerca della poesia e, dunque, attraverso il mare-poesia (junghiano simbolo dell’Inconscio), della bellezza e della conoscenza, edipicamente esemplificati dalla ‘terra-madre’ a cui anela. Il motivo del viaggio, d’altra parte, prende talora anche le movenze della storia on the road alla Kerouac di Mexico City Blues: è il caso, ad esempio, del blues (come recita il sotto-titolo) I love Lucifer10.
Su tutta la produzione di Pasanisi regna comunque sovrana una concezione onirica della poesia, intesa come luogo di esaltazione dell’intelletto e del sentimento, come cinematografica ‘fabbrica di sogni’, come creazione continua di immagini e contemplazioni fascinose e terribili: egli è così riuscito a costruirsi uno stile che esprime l’emozione, duttile strumento d’una poesia capace di ‘comprendere’ la realtà — ovvero di afferrarla, di penetrarla emozionalmente (che è uno degli obiettivi specifici della poesia, altro e complementare rispetto al ‘capire’ razionale) —; uno stile che è una luminosa epifania delle emozioni, idest del ‘profondo’ dell’uomo, del quale la poesia viene a essere una sorta di esperienza linguistica (visto anche che, come ha rilevato Gadamer, “L’essere che può venir compreso è il linguaggio”11). La poesia di Pasanisi, riuscendo a dare una forma alle emozioni, si configura dunque come una Gestalt estetica, fra Husserl e Heidegger, in cui traspare anche la visione della Psicologia della Gestalt, da Fritz Perls in poi: corrispettivo esperienziale dell’Inconscio, che l’artista esplora sul filo d’una prodigiosa immaginosità dannunziana, straordinariamente pregna di referenti culturali. Come nel Buddhismo Zen, a cui pure la sua poesia è vicina, la lirica di Pasanisi si configura dunque come puro ‘essere’, pura ‘esperienza verbale’ emersa dal silenzio primordiale del ‘non essere’.
Traspare in effetti nello scrittore napoletano un concetto di poesia come luogo della rivelazione dell’Inconscio del poeta, rivelazione prima di tutto per se stesso e poi per gli altri: e mi chiedo se questo rivelare non sia un disvelamento dissolvente; se oltre il velo di Maya di un’immagine formalmente precisa, miticamente universale, musicalmente gradita non si trovi che un caos originario il cui valore pregnante è di essere inconscio, cioè di influenzare, modificare il reale senza essere saputo.
Il processo di coscientizzazione (poesia), privandolo della sua essenza più propria, lo devalorizza; devalorizzandolo lo nientifica in quanto lo reifica, cioè lo obbiettiva, lo rende oggetto di una conoscenza oggettiva di un soggetto che è il poeta; e non più soggetto reale ma non visibile di un quid (poesia) che vuole comunque nella volontà dell’autore essere ascensus, intuizione, unio mystica, raptus. Più che di ‘discesa nell’Inconscio’ io parlerei dunque di un evenire (esplodere) dello stesso, definirei la poesia di Pasanisi come un canale fiammeggiante in cui si immettono pulsioni ed energie (che lo stesso poeta forse vorrebbe mantenere nel campo del non saputo) per essere esperite. La poesia è un’occasione che il poeta offre a se stesso per meglio conoscersi, comprendersi, amarsi: è il lago di Narciso, lo speculum animi (dando a quest’ultimo l’accezione aristotelica di psiche); è il luogo in cui il poeta dice, agostinianamente, “Quaestio mihi factus sum”.
Chi è un poeta? Come nasce un poeta? Sono domande di sempre. Il loro continuo porsi induce a riflettere sulla non univocità della risposta, e sulla loro particolarità.
Il poeta è colui il quale vive l’età lirica, l’età della giovinezza (e la poesia tutta del Pasanisi è, in effetti, un’epica della giovinezza); il poeta è la personificazione dell’atteggiamento lirico, è portatore di un valore: la poesia; il poeta è un mostro (nell’accezione latina del termine), la sua mostruosità è la potenzialità in tutti presente espressa nella sua forma più alta. Se per il romanziere la storia è un laboratorio antropologico, per il poeta è un gas asfissiante, lo invita a fuggire ed a porsi oltre il tempo, nell’eternità della giovinezza, le stesse domande esistenziali. Ma la giovinezza corrisponde per antonomasia all’inesperienza, è l’epoca in cui si brama l’assoluto in tutti i campi, è il tempo del continuo domandarsi: ecco che, se accettiamo la proposizione heideggeriana “L’essenza dell’uomo ha la forma di una domanda”, possiamo ben dire che il poeta è colui il quale coglie, vive, cristallizza l’essenziale umano, vivendo e cantando il tempo della giovinezza.
Un poeta nasce in un mondo in cui predominano le figure femminili. Farò alcuni illustri esempî: la sorella di Trakl, le sorelle di Esenin e Majakovskij, le zie di Blok, le nonne di Hölderlin e Lermontov, la nutrice di Puskin, Lady Wilde, Frau Rilke vestivano i figli come bambine: spesso l’ombra materna avvolge il poeta, come una crisalide la larva alla quale non vuole riconoscere il diritto ad un’immagine autonoma. È singolarmente illuminante a tale proposito che un poeta come Jiri Orten (ceco morto nel 1941) scriva nel suo diario: “È ora di diventare uomo”. Il poeta, affascinato dall’eterno femminile, cerca per tutta la vita la virilità dei tratti sul proprio volto: guardarsi allo specchio per un poeta è cercarsi.
Vorrei analizzare a questo proposito la singolare relazione biunivoca che corre tra le classi di concetti simboleggiate in queste tre parole-chiave: ‘poeta’<‘specchio’>’poesia’. Sono in generale due i tipi di atteggiamento del poeta nei confronti della propria immagine (intendendo in senso lato tutta la realtà) riflessa in uno specchio: il primo sta nel preferirle quella dello specchio esaltante dei suoi versi, in cui il tempo vuoto e inarticolato diventa eterogeneo e variegato in un’estatica apertura della realtà materiale della propria immagine e affermarla bella (proprio e solo perché propria); riconoscendo quindi all’uomo che ha in sé la sua più autentica vocazione, che è quella di essere ‘qui-ora-con questo passato-tra questi uomini’, ma tradendola nel tentativo di introdurla in una sfera più alta, di sublimarla in poesia. Il poeta dunque mente a se stesso come uomo, il suo sguardo è deviante perché non vede che immagini riflesse: lo specchiarsi del poeta nella sua opera, laddove soprattutto questa operazione è intenzionale, è sempre menzognero; la fisica ci insegna che l’immagine riflessa in uno specchio è virtuale, ed è su questa virtualità che dobbiamo riflettere.
L’identificazione uomo-poeta-opera, come il fidarsi troppo dell’autore come fonte di informazione, può portare su piste sbagliate: se infatti vale il principio sopra denunciato della ‘virtualità’, le informazioni che il poeta dà di sé nella sua opera, per essere vere, vanno, paradossalmente, capovolte.
La coscienza di essere un eletto accompagna, come abbiamo visto, il primo atteggiamento; la coscienza di una lacerante scissione tra una esistenza troppo alta ed una esistenzialità troppo angusta è propria del secondo: ma proprio perché la poesia non nasce da un ragionamento, ma è il flusso onnipossente dell’Inconscio che si rivela ed eviene, che si lascia esperire come fenomeno, essa non è merito, ma è elezione perché è baleno. Ma, mi chiedo, elezione da parte di chi? Di questo stesso flusso che pur scorrendo in ogni uomo sceglie di palesarsi nel poeta? Appare chiaro a questo punto come il poeta sia un mistero che si può penetrare ma non comprendere: in questo è una figura molto vicina al divino.
La ricerca di se stesso cominciata nello specchio trova di solito una conclusione possibile in un amore: sì, tutte le volte che un poeta si innamora trova se stesso e tutte le volte che perde un amore perde se stesso. È forse per questo che i poeti di solito sono dei grandi amatori o dei grandi misogini; ma quest’ultimo aspetto non è che il rovescio della medaglia: mettendo insieme tutti gli estatici istanti in cui si sono persi martellando ritmicamente il corpo di una donna, ricompongono l’immagine del proprio Sé, per perderla di nuovo e nuovamente ritrovarla.
Il territorio della poesia lirica è quello in cui ogni affermazione diventa verità, perché il poeta lirico non deve dimostrare nulla, se non l’intensità della sua emozione: egli non entra nel mondo, si esibisce davanti al mondo. La poesia ha un valore profetico che lascia trasecolato il poeta stesso: egli, come uomo, stenta a vivere una vita reale; è la sua poesia che autonomamente entra nel mondo ed assume quei caratteri di uomini comuni. Il poeta è il sole del suo universo (opera): egli è quel soggetto pulsante produttore di immagini che danno senso all’universo; ma l’immagine è un atto, una parola della mente che non risolve in sé il soggetto che l’esprime e l’oggetto che viene alluso: per questo il poeta si perde ingoiato dall’abisso di una ricerca sconfinata.
La Bellezza non si lascia durevolmente possedere: è un evenire, un erompere nell’attimo di un dono; è una finestra sull’invisibile che ha la forma dell’armonia e della proporzione, è la concezione greca del bello. E la poesia di Pasanisi è anche una metafora della bellezza, soprattutto nell’accezione greco-latina della parola12: il fluire luminoso e pur lieve delle immagini, ora di classica compostezza ora di barocca sovrabbondanza, la struttura equilibrata ma a tratti volutamente dissonante, ‘dodecafonica’ del dettato, la musicalità straordinaria e la ricchezza figurale del testo, la creazione di sapienti e misurati neologismi13 si armonizzano in effetti in un tutt’uno in cui ciascuna parte congiura alla bellezza di tutte le altre e fanno della sua poesia una delle espressioni più alte della Nuova lirica italiana.
La Bellezza è infatti un inafferrabile rapporto del tutto con il frammento e chi lo esperisce: la forma è bellezza, in essa tutto si corrisponde (i Latini dicevano formosus per dire ‘bello’). È irruzione, tempesta, irradiazione; è il raggio del Tutto nascosto che squarcia le tenebre per lasciarsi percepire e ci rapisce nell’estasi.
Percepire ed essere rapiti: questi i due momenti della Bellezza per von Balthasar. La Bellezza contagia l’essere, non rimane chiusa in se stessa, ti fa essere di più: è l’irradiarsi del Bene (“La bellezza”, diceva Dostoevskij, “salverà il mondo”: e la frase è quanto mai significativa pronunciata da uno che non era un esteta). L’arte di Pasanisi invera profondamente tutto questo: la sua concezione della poesia come generatrice di bellezza e la sua convinzione del valore anche autonomo di tale categoria profonda dello spirito umano non appaiono tuttavia mai disgiunti dalla coscienza del valore gnoseologico sui generis della poesia e da una risentita sostanza etica, che, rifuggendo da ogni estetismo puro, ne costituisce una delle cifre caratterizzanti; a ciò lo conduce anche la dimensione profondamente umanistica della sua lirica, tutta ruotante intorno ai temi fondamentali ed eterni dell’uomo e della sua esistenza, in cui la bellezza stessa non è altro che una via elettiva per giungere ai magmatici, ribollenti abissi dell’Inconscio.
Un evento di Bellezza dischiude infatti la profondità dell’essere, ed è dunque intimamente conoscitivo: bello non è ciò che appaga l’occhio che contempla, ma è ciò che ti fa raggiungere il tutto mediante la via della donazione, magicamente coinvolgendoti: la Bellezza è un evento che si manifesta non per conquistare, ma per contagiare. E poesia è, per Pasanisi come per ogni vero grande poeta, lasciarsi raggiungere dalla originaria profondità dell’essere: la Bellezza rompe i sigilli della vita perchè la vita sgorghi. È uno scrigno che si apre: ed è una capacità del post-moderno, genialmente còlta dal poeta napoletano, quella di entrare nel mistero lasciandosene avvolgere in maniera totalizzante.
La Bellezza è il frutto di una grande lotta: i poeti come Roberto Pasanisi, nel tempo della povertà (qual è il nostro), servono a far rinascere il senso della ‘patria perduta’, insomma della Bellezza; non ce la restituiscono, ma ci fanno sentire il dolore della sua assenza e lo struggimento inappagabile ma dolcissimo del suo desiderio.
Paola Mazzucchi
Note
(1) Cfr. specialmente Henry Bergson, L’intuizione filosofica [1911], in Introduzione alla metafisica, tr. it., Bologna, Zanichelli, 1949, pp.69-94 e Maurice Merleau-Ponty, Elogio della filosofia [1953], tr. it., Torino, Paravia, 1958, pp.12-30; cfr. anche, più in generale, Roberto Pasanisi, L’’uomo-massa’ e la ‘morte della bellezza’: la coscienza dell’Occidente alle soglie del Nulla, in “Pragma”, 1, 1990, pp.33-41 e Id., Il poeta tra le rovine. Fra ‘civiltà di massa’ e ‘morte dei valori’ una via oltre la modernità, in “Nuove Lettere”, 2, 1990, pp.8-18.
(2) Rispettivamente in “Galleria”, 3-4, 1984, p.54, la prima; in “Offerta Speciale”, 1, 1988, p.18, le altre due.
(3) Si vedano, in particolare, poesie come Ariel (in “Tam Tam”, 42-43, 1985, p.34), Ero un licantropo adolescente (in “Offerta Speciale”, giugno 1987, p.5) ed Acido lisergico (in “La parola abitata”, 2, 1990, p.18).
(4) Sono i vv.16-17 e 29 di Canzone labirinto, in “Nuove Lettere”, 1, 1990, pp.26-27.
(5) Canzone labirinto, ibidem, vv.27-28.
(6) Canzone labirinto, ibidem, vv.25-26.
(7) Canzone labirinto, ibidem, vv.20-24.
(8) Le terre del sole, Napoli, Liguori, 1982, p.11; p.32; p.44. Incantesimo, inoltre, è stata tradotta in Neo-greco da Kóstas Níkas in “Eleúthero Pneúma” [“Spirito Libero”], 53, 1984, p.390.
(9) In “Controcampo”, 7-8, 1989, p.52; in “Nuova Rassegna”, XXIV, 6-7, 1989, p.29; in “Nuove Lettere”, 1, 1990, pp.24-25. La poesia è anche uno straordinario, onirico omaggio al grande esploratore portoghese, una figura che ha sempre assediato la fantasia di Pasanisi, sin dalla sua opera prima (si pensi, ad esempio, ad una lirica come Magellano delle Galassie, Giardini del cielo, Napoli, Edizioni del Delfino, 1980).
(10) In “Nuove Lettere”, 2, 1990, pp.40-41.
(11) Hans Georg Gadamer, Verità e metodo [1960], tr. it., Milano, Bompiani, 1983, p.542.
(12) Cfr., ad esempio, la già citata Sulla rotta di Magellano (vd. n.9).
(13) Cfr., fra i tanti esempî possibili, liriche come Quando gli iris moriranno : “e il cielo d’acquamorta”, v.10; O Amelia: “ad infinitum somniando”, v.8 (Le terre del sole, Napoli, Liguori, 1982, p.4; p.73); Serenata ad Amarillide: “è lume di squarquoia, o mia pinzòchera...”, v.10 (dove l’aggettivo di sapore toscano è, contro l’uso, sostantivato) (in “Galleria”, 3-4, 1984, p.154); Ariel: “e lampàre, se d’annuvoli / dolci s’aggrovigli lo sguardo,”, vv.8-9; “maliose, frusciose d’aeree, / di lievi largure d’insetto, plananti”, vv.14-15 (in “Tam Tam”, 42-43, 1985, p.34); Il ritorno di Casanova: “Clivosa biondura il suo crine / arsura puella”, vv.1-2; “violava il silenzio / col riso starnazzo”, vv.11-12 (in “Offerta Speciale”, 1, 1988, p.18); Danza macabra: “A rullo rombava / il carrarmato sulla greve:”, dove il neologismo assume il significato di ‘terra pesantemente e ripetutamente battuta’ (in “Il letterato”, XXXVII, 1-3, 1989, p.13); Acido lisergico: “Acido lisergico, il liquido lucore / del tuo occhio alcàlico,”, vv.1-2; “Ah, lo sciogliersi dei sensi / ha il balùgino lucente del nero litantrace,”, vv.8-9 (in “La parola abitata”, 2, 1990, p.18); Canzone labirinto: “barlùmina una luce”, v.17; “nel balùgino dei tuoi capelli”, v.23; “a vanire il lavoro di anni”, v.26, dove il verbo è adoperato, contrariamente all’usus, transitivamente (in “Nuove Lettere”, 2, 1990, pp.26-27).
Paola Mazzucchi, "La forma delle emozioni. La ‘poesia gestaltista’ di Roberto Pasanisi", in “Nuove Lettere”, II, 3, 1991, pp. 63-70
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