Un nuovo libro nelle Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli (ICI EDIZIONI), dirette da Roberto Pasanisi
Maria Beatrice Di Castri, "Il sudario di Laerte", Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli (ICI EDIZIONI): "Istantanee, versi come fotografie, giorni che scandiscono intervalli di tempo su cui porre silenzio per alleviare l’attesa: è un ritmo lieve di passi quello della Di Castri che, dalla negazione della perdita, dall’accettazione, giunge fino alla reale separazione, al commiato definitivo. Intima e privata elaborazione di un lutto, dove nella creazione della ‘parola-segno’ che dà coscienza visiva al desiderio di non vedere, si traspone in una epigrafe la rabbia inerte" (Daniela Gazineo)
Maria Beatrice Di Castri, fiorentina di nascita (1967), si è laureata in Lettere classiche nell’Università della sua città e ha poi conseguito il dottorato di ricerca in Filologia Classica. Attualmente vive con la sua famiglia ed è docente nella sua città d’origine. La sua passione culturale la vede impegnata nella “Rassegna di Letteratura Italiana”, alla quale collabora coi suoi contributi letterarî; e la sua sensibilità di giovanissima scrittrice nei corsi di lettura e scrittura presso la “Libreria delle Donne di Firenze”. Suoi racconti fanno parte della raccolta La pagina volante, edita nel 2010 dalla stessa libreria.
Nel 2006 ha vinto il premio letterario “Firenze per le culture di pace”, indetto dall'associazione Un tempio per la pace in collaborazione con la Regione Toscana.
Con il racconto Con un voto di scarto, nel 2008, ha pubblicato la silloge Plazer per le edizioni LibroitalianoWorld di Ragusa.
La raccolta Il sudario di Laerte, nella quale memoria desiderio emozioni e sentimenti si intrecciano a tessere i fili di un ‘nuovo’ presente, viene pubblicata in quanto vincitrice del Premio Internazionale di Poesia e Letteratura “Nuove Lettere” 2010.
Scrive Daniela Gazineo nella Prefazione: «Istantanee, versi come fotografie, giorni che scandiscono intervalli di tempo su cui porre silenzio per alleviare l’attesa: è un ritmo lieve di passi quello della Di Castri che, dalla negazione della perdita, dall’accettazione, giunge fino alla reale separazione, al commiato definitivo. Intima e privata elaborazione di un lutto, dove nella creazione della ‘parola-segno’ che dà coscienza visiva al desiderio di non vedere, si traspone in una epigrafe la rabbia inerte».
L’Istituto Italiano di Cultura di Napoli (www.istitalianodicultura.org; ici@istitalianodicultura.org), in collaborazione con la rivista internazionale di poesia e letteratura “Nuove Lettere” (da esso edita), pubblica cinque collane editoriali: due di poesia (entrambe dirette da Roberto Pasanisi: una intitolata Lo specchio oscuro, l’altra — di plaquette — intitolata Nugae), due di narrativa (una già diretta da Giorgio Saviane ed intitolata La bellezza; l’altra — di plaquette — diretta da Roberto Pasanisi ed intitolata Gli angeli) ed una di saggistica letteraria (già diretta da Franco Fortini ed intitolata Lettere Italiane). Le ICI Edizioni Elettroniche pubblicano due collane di libri elettronici: una di poesia (Adriana), l’altra di narrativa (La Cittadella).
Il Comitato di lettura delle Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli (ICI Edizioni) è costituito da Constantin Frosin (Lingua e letteratura francese, Università “Danubius”, Galaţi; scrittore), Antonio Illiano (Lingua e letteratura italiana, University of North Carolina at Chapel Hill), Roberto Pasanisi (Lingua e letteratura italiana, Università Cattolica di Lovanio; scrittore), Mario Susko (Letteratura americana, State University of New York, Nassau; scrittore), Násos Vaghenás (Teoria e critica letteraria, Università di Atene; scrittore) e Nguyen Van Hoan (Letteratura italiana e Letteratura vietnamita, Università di Hanoi).
PREFAZIONE
Istantanee, versi come fotografie, giorni che scandiscono intervalli di tempo su cui porre silenzio per alleviare l’attesa: è un ritmo lieve di passi quello della Di Castri che, dalla negazione della perdita, dall’accettazione, giunge fino alla reale separazione, al commiato definitivo. Intima e privata elaborazione di un lutto, dove nella creazione della ‘parola-segno’ che dà coscienza visiva al desiderio di non vedere, si traspone in una epigrafe la rabbia inerte.
È una Penelope che aspetta, tesse e disfa, vita e morte, il divenire cosciente e il rifugio nell’incosciente, fra ricordi e spazî dove l’onnipotente e disperato affetto si strugge nell’immobilità. Un Laerte già lontano, di una malattia che ne segna già il destino, di una demenza che ne vanifica perfino i tratti immutati del corpo dove si cela la presenza. E se l’Odissea è il poema del ritorno e Penelope rappresenta la fedeltà coniugale, traspare forse nei versi il senso di colpa di un desiderio infranto e rinnegato che diniega il complesso di un desiderio lontano?
Per superare la perdita la Di Castri rinuncia all’illusione del possesso affettivo, esclusivo dell’altro, e lo fa guardando da lontano, nel distacco di un lutto immane, annotando gravi le parole della sua memoria che descrivono un corpo non più della persona di un tempo, ma ciò che resta di una presenza ormai solo fisica e, come nei versi dannunziani «[…] Perché ti neghi con lo sguardo stanco?[…]» ne sottolinea l’inevitabile fine. È da uno sguardo distaccato che ci si rivela a se stessi e, nella chiarezza delle immagini che si compongono in versi, sacro è il tentativo per un congedo dallo sguardo assente, la voce flebile e vacillante del padre. Grazie alla creazione di questo sillabare si mitiga il senso di impotenza: forte appare la parola ‘ancóra’, che fra i versi trasuda quell’ansia per un finale immutabile, di cui qualsiasi altro verso non potrà cambiarne il senso.
Ciò che in Italo Svevo diventa «ravvivare il ricordo di se stesso» , nelle pagine della Di Castri assume la consistenza di una simbiotica essenza di una donna, di una figlia, del travaglio di una mamma che, trasposta nelle vesti di una Pietà, regge ciò che resta della desolata assenza di un padre celebrandolo con dignità di sentimenti. E se in Svevo un richiamo al senso di colpa prevale: «[…] Piangendo, proprio come un bambino punito, gli gridai nell’orecchio: — Non è colpa mia! Fu quel maledetto dottore che voleva obbligarti di star sdraiato! Era una bugia. Poi ancora come un bambino, aggiunsi la promessa di non farlo più. Ti lascerò movere come vorrai[ ]» , fra i versi de Il sudario per Laerte, dove un orologio batte lo scandire stanco di una malattia, emerge cauto il distacco sull’inoppugnabile destino.
Non parricidio, ma un sipario sull’ inevitabilità e sull’ impossibilità di ridare vita ad un corpo giacente, dove le parole diventano eco di urla mute : un padre già avvolto nel suo sudario, a cui l’unico trionfo e la restituzione di una dignità può essere concesso, come la Di Castri epiloga, da «il nome gli ridette la nobiltà incisa della sua anima» .
Daniela Gazineo
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