EDITORIA
Comunicato Stampa

ANTICO EGITTO - La Scrittura...

16/11/20

Si credeva, in passato che i geroglifici racchiudessero simboli misterici e che i loro inventori, gli Antichi Egizi, li avessero creati per scrivere in una lingua segreta le loro conoscenze occulte e scientifiche, in modo che restassero un mistero. E tale è rimasto, per millenni e secoli, fino a quando un giovane egittologo francese, F. Champollion non riuscì a “violare” quel mistero. Oggi si legge e si scrive in quella che, lungi dall’essere una lingua morta, è più viva che mai. Maria Pace solleva, in questo libro, qualcuno di quei veli che celavano tale mistero. Sicuramente, alla fine della lettura di questo libro, non saremo ancora in grado di leggere la scrittura geroglifica, la quale è assai complessa e richiede anni di applicazione, ma sapremo che cosa è un determinativo o anche un carattere omofono. Ed ecco il programma del nostro “viaggio” attraverso l’affascinante mondo del geroglifico Per prima cosa cercheremo di capire che cosa è la scrittura geroglifica, come si leggono questi strani segni, quali sono le regole grammaticali e di sintassi, del tutto diverse da quelle di una lingua moderna, e seguiremo avventure e disavventure legate alla sua decifrazione. Entreremo in alcune piramidi per leggere testi incisi lungo le pareti di camere e corridoi e ne usciremo per entrare in qualche Museo ed osservare da vicino quei famosi papiri che ci hanno fatto conoscere la storia di questo straordinario Paese. Qualcuno di noi, infine, si divertirà a comporre brevi frasi in antico egizio, utilizzando il piccolo dizionario Italiano-Egizio che chiude questo libro.

FotoA partire dalla dominazione araba, nel VII secolo d.C., la lingua geroglifica era diventata muta e misteriosa. Custode, si diceva, di misteri e segreti, ma anche di saggezza e conoscenze e in silenzio restò, fino all’arrivo del geniale Champollion.
Si ebbe, prima di lui, nell’antichità, qualche citazione da parte di autori classici come Erodoto, Porfirio, Diodoro, ecc., ma l’opera che ebbe qualche influenza sui primi studi di questa scrittura fu sicuramente quella di Horapollo, scritta in copto, ma giunta fino a noi in greco: ”Hierogliphica”. L’opera si compone di 119 capitoli e riporta la traduzione di geroglifici il più delle volte in maniera decisamente strampalata, con-torta ed arbitraria; alcuni capitoli sono assolutamente inventati.
Fu proprio l’applicazione di questo testo che condusse il gesuita Kircher, nella metà del XVII secolo, ad abbracciare studi di egittologia e di interpretazione dei geroglifici ed alla pubblicazione di testi sull’argomento. Il suo sistema di decifrazione, però, ignorando egli l’esistenza degli ideogrammi e dei valori fonetici, risultò del tutto fantasioso.
Fin dal principio, nella scrittura egizia si registrò una notazione fonetica: la parola scritta non dovette essere avvertita diversa da quella pronunciata; oltre al significato della parola, infatti, si registrava la sua pronuncia, ossia il suo suono. Questa particolarità, però, era completamente sconosciuta agli studiosi.
Si ebbe qualche felice intuizione da parte di singoli studiosi, quali il Gilbert o il Niebhur o anche il Warburton, ma la chiave di interpretazione arrivò solo con la campagna di Napoleone in Egitto.
E’ dimostrato, infatti, che l’impulso allo studio ed alla decifrazione della scrittura geroglifica sia partito proprio dalla spedizione di Napoleone: il Bonaparte, in Egitto portò studiosi, scienziati e ricercatori, oltre a soldati ed armamento.
Quasi duemila anni prima, ai tempi della conquista romana, la scrittura geroglifica era usata solo per scopi religiosi e alla fine del IV secolo d.C, la lingua ufficiale era il greco e la maggior parte degli scritti erano redatti in lingua greca o in copto, i nuovi caratteri del linguaggio dialettale.
Scarso interesse, dunque, c’era stato per questa scrittura prima del Bonaparte. E meraviglia molto che i Greci l’abbiano disdegnata e che nessuno studioso o storico ne abbia fatto uno studio serio ed approfondito prima dell’epoca di Alessandria e della sua famosa Biblioteca capace di attirare migliaia di ricercatori.
Il primo tentativo fu fatto da Horapollo con il suo
“Hieroglyphica”, un’opera inizialmente ritenuta com-posta da un egiziano e tradotta in greco; fu appurato poi che era opera di un greco che aveva finto di averla tradotta da un sacerdote egizio, allo scopo di darle una patina di autenticità. Appariva chiaro anche che l’autore possedeva conoscenza, seppure limitata, di quella scrittura.
L’opera ebbe successo soprattutto nel Medioevo e nei secoli successivi, ma torniamo alla spedizione napoleonica, che aveva come obiettivo di colpire gli interessi degli Inglesi, cosicché il Paese fu interamente occupato e nel 1799, un distaccamento francese, al comando di un certo Bouchard, durante i lavori di fortificazioni nei pressi del porto di El Rashid o Rosetta, un piccolo villaggio a qualche chilometro dal Mediterraneo, si imbatté in una grande lastra di basalto nero. Fortunatamente quei soldati intuirono l’importanza delle iscrizioni che vi erano incise, cosicché la ripulirono e la spedirono ad Alessandria al generale Menou, il quale la spedì a sua volta al Cairo, dove vennero fatte fare diverse copie. Dopo la capitolazione dei Francesi, nel 1802, la lastra venne confiscata dagli Inglesi e trasportata a Londra, dove finì anche la maggior parte dei materiali scoperti e dove furono fatte fare ulteriori copie da distribuire a studiosi e società scientifiche. Tale era l’interesse suscitato dallo straordinario reperto che, nonostante l’Europa fosse quasi tutta coinvolta dalla guerra, non mancarono comunicazioni, né scambi culturali fra scienziati di Paesi ostili.
Quel reperto, battezzato “Pietra di Rosetta”, segnava la fine del mistero della scrittura egizia: si era trovata la chiave di lettura e si aspettava solamente che qualcuno sapesse servirsene. Nessuno, però, sapeva riconoscere quei segni sconosciuti e tanto meno immaginare la loro pronuncia.



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