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Comunicato Stampa

GB: RE Carlo III, una strada in salita

Agli occhi del mondo la regina Elisabetta è stata una presenza emblematica per 70 anni di storia. Per i britannici, rappresentava qualcosa di più profondo. Oltre il dolore, esiste un senso generale di smarrimento e d’incognita.

FotoIntendiamoci, la monarchia in UK non è a rischio. Anche i più ardenti riformisti tendono a non metterla in discussione. Infatti, secondo le più recenti statistiche, il 75% dei britannici la sostengono. Il motivo è semplice: la monarchia è il catalizzatore dell’identità nazionale; i britannici si riconoscono in essa.

Se la cultura di un Paese è la somma degli usi, dei costumi e degli eventi lasciati in eredità dal passato, quella della Gran Bretagna affonda le proprie radici nell’impero. Può averlo smantellato politicamente, ma concettualmente lo ha mantenuto attraverso il Commonwealth. I non britannici sono abituati a vedere il Commonwealth semplicemente come un’unione commerciale, e per alcuni paesi ora repubbliche (come recentemente le Barbados), le cose stanno così. Per 14 Paesi però il monarca della Gran Bretagna rimane il capo di stato. Tra questi, anche Canada e Australia. Per i britannici quel “concettualmente”, mantiene viva la memoria dell’impero e della loro influenza culturale e storica. Il loro monarca continua a essere a capo di molteplici nazioni. Diventare una repubblica per i britannici significherebbe cancellare tanto la memoria dell’impero quanto rinnegare la cultura da cui dipende l’identità nazionale. Al fondo di ogni considerazione, esiste il terrore di smarrirsi nell’anonimato ed essere: un Paese come tanti altri.

Oggi c’è da chiedersi, quanto la sopravvivenza del Commonwealth fosse legata alla figura di Elisabetta (salita al trono quando la Gran Bretagna era ancora un impero). Quanti di quei 14 Paesi coglieranno (certo non domani ma forse tra due, tre o quattro anni) l’occasione per svincolarsi? L’Australia, da anni scalpita per diventare una repubblica e solo a poche ore dalla morte della regina il dibattito è stato riacceso. Adam Bandt, il leader dei verdi (che alle scorse elezioni hanno ottenuto il 12,25%), ha twittato: “Che la Regina Elisabetta II riposi in pace. I nostri pensieri vanno alla famiglia e a coloro che l’hanno amata. Ora l’Australia potrà andare avanti. Abbiamo bisogno di un trattato e diventare una repubblica.” Per quanto riguarda il partito laburista australiano che ora guida il governo, ha annunciato di avere intenzione d’indire un referendum in caso di conferma di un secondo mandato.

Carlo III ascende al trono in un momento delicato, non solo per quanto riguarda la fragilità del Commonwealth ma quella stessa della Gran Bretagna, un Paese oggi profondamente diviso e internazionalmente isolato dopo l’uscita dall’Unione Europea. C’è chi ha interpretato la morte di Elisabetta in Scozia come un pessimo presagio. Gli scozzesi infatti sono in rottura con Westminster e vogliono l’indipendenza dal Regno Unito. Hanno votato largamente per restare nella UE e non hanno mai digerito Brexit che hanno piuttosto vissuto come un’imposizione “coloniale” dell’Inghilterra. La data del referendum per l’indipendenza della Scozia è stata fissata per il 19 ottobre 2023 e la Corte Suprema si esprimerà tra qualche settimana sulla legittimità di un referendum tenuto senza il consenso di Westminster.

C’è poi la questione delicata dell’Irlanda del Nord, dove i repubblicani di Sinn Féin sono ora il partito di maggioranza. Il Primo Ministro Liz Truss ha intenzione di perseguire la stessa politica del predecessore Johnson in merito alla violazione del Protocollo sull’Irlanda del Nord. Il protocollo prevede lo spostamento del confine commerciale sul mare del Nord piuttosto che tra le due Irlande, Truss intende ignorarlo, pur avendo il governo Britannico firmato l’accordo nel 2019. La violazione del protocollo sta causando grandi tensioni tra Westminster e l’Irlanda del Nord, la UE e gli USA (garanti del Good Friday Agreement, il trattato di pace che pose fine a 20 anni di ostilità).

Al momento, il sostegno della Gran Bretagna all’Ucraina, in linea con gli USA e la UE, ha occultato molti di questi problemi, creando una falsa percezione di unità. Dietro le quinte però, i rapporti con UE e USA continuano a essere tesi.

Un altro aspetto indicato come “presagio” è il nome: Carlo III. I suoi due predecessori dallo stesso nome hanno regnato nel periodo più drammatico della storia della Gran Bretagna, quello della guerra civile. Carlo I fu decapitato nel gennaio del 1648. Successivamente, la monarchia fu abolita e in Inghilterra fu istituita la repubblica che presto tracimò nella dittatura di Oliver Cromwell. Carlo II fu il protagonista della restaurazione della monarchia nel 1660, due anni dopo la morte di Cromwell.

Al di là di concomitanze, che possono far sorridere, Carlo III eredita un regno in un momento difficile per il Paese: la peggiore crisi economica del dopoguerra, un nuovo Primo Ministro inviso al 65% dei britannici che persegue politiche invise allo stesso Carlo (come quella della deportazione dei richiedenti asilo in Ruanda che ha definito “spaventosa”); l’indipendenza della Scozia; la crisi nell’Irlanda del Nord; e infine il pericolo di uno sfaldamento del Commonwealth.

Che tipo di re sarà Carlo III non lo sappiamo ancora, ma certo è che la sua strada sarà tutta in salita.



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