Gli zombie esistono davvero? Potenza della suggestione…
Nelle credenze popolari di Haiti, alcuni sacerdoti detti bokor sarebbero in grado di catturare una parte dell’anima di una persona detta piccolo angelo guardiano, producendo uno stato di letargia che rende come morto un essere vivente, e che anche anni dopo la sua sepoltura, essi siano in grado di riesumare il corpo rendendolo loro schiavo. Passando sotto il naso del morto una bottiglietta contenente il suo piccolo angelo guardiano lo si potrebbe far risvegliare e controllarlo a piacimento. Da Wikpedia
Gli zombie, nell’accezione di “morti viventi” cari agli horror b-movie, sono un esotico retaggio haitiano legato ai riti Vudù. Personalmente, quando, adolescente, mi cibavo di film dello stampo de “La Casa”, non riuscivo a capire come potesse un corpo umano in disfacimento percepire l’ambiente e muoversi in esso. In realtà, lo zombie in avanzato stato di decomposizione è una reinterpretazione occidentale del “morto vivente” haitiano. Lo zombie Vudù ha tutta l’apparenza fisica di un vivente, ma il suo comportamento risulta automatico e privo di volontà. Una divertente e fedele visione di questo tipo di essere è stata tratteggiata da Carl Barks, l’autore disneyano creatore di Paperon de’ Paperoni (Scrooge McDuck): nella storia “Paperino e il feticcio”, del 1949, compare il personaggio del Gongoro (Bombie in originale), incaricato da uno stregone di perseguitare Paperone e strenuamente sulle sue tracce da sessant’anni. Qui lo zombie è africano, ma è rispettato lo spirito originale haitiano: una creatura sicuramente non ostile, ma ligia agli ordini impartiti e priva di emozioni (o quasi: nel fumetto Gongoro riesce persino a commuoversi).
L’antropologo Wade Davis, negli anni ’80, sostenne che gli zombie haitiani fossero esseri umani sotto avvelenamento da tetrodotossina, una neurotossina che può essere estratta dal pesce palla. Tracce di tetrodotossina sono state in effetti trovate nella polvere preparata dagli stregoni Vudù, ma i detrattori di Davis sostengono che si tratti di dosaggi insufficenti ad avere effetti farmacologici e che, comunque, la tossina non genera uno stato di “trance” o di apatia. Davis puntualizzò che a suo avviso il veleno viene utilizzato solo per indurre la morte apparente e convincere, al “risveglio”, sia la vittima che il parentado di trovarsi in presenza di una caso di zombie.
Nel 1997, sul Lancet, è stato pubblicato un interessante studio su tre autentici casi di zombie haitiani (Clinical findings in three cases of zombification – Prof Roland Littlewood MRCPsych, Chavannes Douyon MD – The Lancet, Volume 350, Issue 9084, Pages 1094 – 1096, 11 October 1997).
In tutti e tre i casi, i soggetti erano stati “identificati” diverso tempo (da 3 a ben 13 anni) dopo la sepoltura. Si trattava, beninteso, di tre soggetti assolutamente vivi e con vari quadri clinici: un caso di schizofrenia catatonica, un caso di epilessia accompagnata da danno cerebrale da ipossia e un caso di ritardo mentale dovuto all’alcolismo della madre in stato di gravidanza.
Ma com’è possibile che questi soggetti, per quanto disturbati, potessero essere risorti dopo tanto tempo dalla sepoltura? Un’analisi genetica ha fugato ogni dubbio: i tre “zombie” non erano nemmeno lontanamente imparentati con i defunti; semplicemente le famiglie degli scomparsi, suggestionate dalla leggenda dei morti viventi, avevano riconosciuto nei tre soggetti viventi le fattezze dei propri cari estinti.
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