SALUTE e MEDICINA
Comunicato Stampa

“L’ebola è peggio della guerra”

29/08/14

Cosa pensano gli abitanti delle comunità colpite dall'Ebola? Plan ha intervistato persone che vivono in Liberia dove il virus ha ucciso almeno 466 persone. La popolazione sta perdendo ogni speranza e si sente stigmatizzata e abbandonata a se stessa, in quanto da ogni parte del Paese vengono adottate misure di quarantena. Ma l'Ebola ha anche gravi effetti sull'istruzione dei bambini e in particolare sulle bambine.

Gli abitanti delle comunità della Liberia più colpite dall’Ebola sostengono che vivere in questa situazione è peggio che essere in guerra. E loro ne sanno qualcosa: dal 1989 al 2003 il Paese è stato teatro di ben undici anni di guerra civile ed ora è di nuovo in ginocchio di fronte a questa nuova peste nera – una peste “dal cuore di tenebra” – che in pochi mesi si è diffusa in 9 Paesi africani e ha ucciso almento 466 persone in Liberia.
Mamadee Kamara, assistente sociale che vive nella piccola città di Voinjama nella contea di Lofa County (Liberia), confinante con la Guinea, intervistato da Plan ci racconta che la sua comunità sta perdendo ogni speranza di fronte a questo “killer invisibile” che presto distruggerà tutti gli abitanti: “è peggio della guerra, tutto si è fermato: le scuole sono chiuse, ogni affare è fermo, la città è vuota perché la gente fugge via. Le persone ormai si vedono già morte”. Ci racconta James Fayiah, assistente sociale a Lofa: “Non è facile lavorare quando ogni giorno senti che 7, 8, 11 persone sono morte e 12 se ne stanno andando oggi e domani ne moriranno 15. Non è facile”.
La precaria struttura sanitaria della Liberia fa sì che ci siano scarsi centri di trattamento per il crescente numero di pazienti colpiti dall’Ebola.
Pochi giorni fa un centro di quarantena nella zona povera di West Point a Monrovia è stato depredato e ciò ha causato ulteriore panico nella popolazione, che vede il virus diffondersi in maniera invisibile.
Il presidente della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, ha imposto misure di emergenza come la quarantena e un sistema di blocchi stradali per controlli medici per impedire che il virus raggiunga le città.
Le misure adottate hanno fatto pensare a quanto succedeva in passato quando l’Europa veniva colpita a cicli dalla famosa peste di manzoniana memoria, quando si mettevano in quarantena i villaggi colpiti dalla peste tagliandoli fuori dal resto del mondo.
Poiché questi sistemi di quarantena emergono in ogni angolo del Paese, la popolazione teme che venga tagliata fuori, stigmatizzata, abbandonata a se stessa e fatta morire di fame. Gli abitanti di Bomi, contea a 80 km da Monrovia (che è già stata in quarantena), confermamo che soffrono per mancanza di cibo e acqua, il costo della vita aumenta di giorno in giorno e raramente vengono distribuiti loro forniture mediche.
Secondo Klubo Jangar, un altro assistente sociale di Lofa County – che al momento non si trova in quarantena, ma è sotto stretto controllo con riduzione negli spostamenti dentro e fuori l’area – l’isolare una regione non è una buona decisione: “Se Lofa sarà messa sotto quarantena, prodotti e beni alimentari non potranno entrare nella regione e questo potrà solo danneggiarci”.
Situazione analoga per chi vive in Sierra Leone: ad Ali K., commerciante di Kenema, che ogni giorno deve fare un miglio per vendere i propri prodotti nei villaggi vicini, le restrizioni impediscono di spostarsi e quindi non può vendere e acquistare cibo per la sua famiglia: “i prezzi dei beni e dei servizi” – ci racconta – “sono aumentati e noi poveri ne soffriamo”.

Ma l’Ebola ha anche gravi effetti sull’istruzione dei bambini e sul destino delle bambine, in quanto ogni riunione pubblica è proibita e di conseguenza le scuole sono chiuse: “i bambini non possono fare i loro esami pubblici” – racconta Grace K. di Kenema (Guinea) – “i miei fratelli più piccoli hanno smesso di andare a scuola e nella mia classe già due bambine sono rimaste incinte in questo periodo lontano dai banchi scolostici”.

Il Direttore Nazionale di Plan International Liberia, Koala Oumarou, sottolinea che per combattere il virus occorre agire a più livelli: fare un lavoro di prevenzione attraverso la promozione della salute pubblica, creare unità di trattamento e cura, dare assistenza psicologica, informare a tappeto e ricostruire il sistema sanitario pubblico, questi gli aspetti che dovrebbero essere in cima alla lista”.

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