SALUTE e MEDICINA
Comunicato Stampa

Long CoVID e patologie cardiovascolari

Secondo le stime dell'Oms, sarebbero 65 milioni nel mondo e 17 milioni in Europa le persone che sono alle prese con la sindrome post Covid.

FotoIn Italia le patologie cardiovascolari sono responsabili del 35.8% di tutti i decessi (32.5% negli uomini e 38.8% nelle donne), superando i 230mila casi annuali.

L’impatto del COVID ha provocato un enorme peggioramento: anzitutto, le malattie cardiovascolari rappresentano un moltiplicatore per la letalità del COVID; inoltre, la pandemia ha comportato una drastica riduzione di controlli ed esami e ha penalizzato una corretta alimentazione e sani stili di vita, base della prevenzione. Senza contare che in tutto il mondo si assiste ad una “inspiegabile” impennata delle morti improvvise post-vaccino a cui nessuno sembra importare.
Si pensi che nel periodo del primo lockdown (ed in parte ancora oggi) si è assistito ad una riduzione di quasi il 50% nelle ospedalizzazioni per infarto del miocardio, con un parallelo aumento della mortalità per infarto e delle relative complicanze.

Secondo i dati Istat del 2017, il 10.4% di tutti i decessi è stato attribuito a malattie ischemiche del cuore (11.3% negli uomini e 9.6% nelle donne) e il 9.2% ad eventi cerebrovascolari (7.6% negli uomini e 10.7% nelle donne).

Le Malattie Cardiovascolari sono tuttora anche la prima causa di ricovero ospedaliero in Italia (14.5% di tutti i ricoveri, circa 1 milione di ricoveri/anno). Nel 2015, 4 italiani su 10, ovvero più di 20 milioni, sono ricorsi alle cure mediche per patologie croniche, di cui quelle di gran lunga più diffuse erano quelle cardiovascolari.

La prevalenza di tali fattori di rischio cardiovascolare è risultata piuttosto elevata e complessivamente in costante e continua crescita rispetto a quanto osservato degli anni precedenti.

Nel 2017 il 24.8% dei uomini e il 14.9% delle donne hanno riferito abitudine al fumo; inoltre, il 43.0% degli uomini e il 28.4% delle donne sono risultati essere in sovrappeso, mentre l’11.8% degli uomini e il 9.4% delle donne sono risultati obesi. Il 38.1% è risultato non praticare né attività fisica né sport, il 17.8% circa affetto da ipertensione arteriosa e il 5.7% affetto da diabete mellito.

Tali ultime percentuali aumentano considerevolmente nelle categorie di soggetti anziani e grandi anziani.

Le malattie cardiovascolari sono particolarmente critiche nella popolazione geriatrica, che risente del portato della cronica esposizione nel corso della vita ai diversi fattori di rischio.
Aumento di peso, inattività fisica, fumo, inquinanti atmosferici, ipercolesterolemia, ipertensione, diabete sono condizioni che esercitano la loro azione lesiva nel corso degli anni.

“I fattori di rischio per le malattie cardiovascolari compaiono dai 35-40 anni – evidenzia il Prof. Giovambattista Desideri, Consigliere SIPREC e Direttore della cattedra di Geriatria, Università degli Studi L’Aquila – Da qui si evincono due riflessioni: anzitutto, la prevenzione dell’anziano deve iniziare in età giovanile; in secondo luogo, la gestione del paziente in età geriatrica può avvenire attraverso il controllo ottimale della pressione arteriosa per monitorare l’ipertensione, assai diffusa e principale causa di ictus in questi soggetti, oltre che una delle principali cause di declino cognitivo e di demenza”.

Ancora sconosciuti sono invece gli effetti a lungo termine dell’infezione da COVID-19. Si definisce LONG-COVID la permanenza di sintomatologia per lo più sfumata oltre la fase acuta della malattia per un periodo di circa 3 settimane. Prende invece il nome di CRONIC-COVID il prolungarsi dei sintomi per oltre le 12 settimane. Tra i sintomi più frequenti ritroviamo l’astenia la facile faticabilità, la dispnea e l’intolleranza ortostatica. Si ipotizza inoltre che l’ipotensione ortostatica possa derivare da una disfunzione del sistema nervoso autonomo. È possibile che la disautonomia derivi da un danno virale diretto sul sistema nervoso autonomico oppure secondaria ad un meccanismo autoimmune.[2]
Probabilmente, ancor più di un possibile danno cardiovascolare diretto, sono state le complicanze indirette determinate dalla pandemia (riduzione delle cure per patologie acute extra COVID e sospensione del follow-up dei pazienti cronici) ad impattare sul sistema cardiocircolatorio.

Durante l’emergenza sanitaria, diversi ospedali si sono ritrovati a dover ristrutturare la loro organizzazione interna con movimenti di postazioni letto e di personale specialistico ed infermieristico per accogliere il sempre più crescente numero di pazienti con infezione da SARS-CoV2.

Questa diversa allocazione di risorse ha messo in seria difficoltà le normali attività di tutti i reparti ospedalieri, tra cui anche quelle dei servizi di cardiologia. In accordo con le linee guida promulgate in occasione della pandemia, procedure non urgenti come coronarografie elettive e trattamenti interventistici di valvulopatie hanno subito un brusco rallentamento. [3]

Il ritardo nell’ esecuzione tuttavia ha portato ad un aumento della prevalenza delle condizioni morbose come l’insufficienza cardiaca o la cardiopatia ischemica sintomatica, oltre ad un significativo aumento della mortalità cardiovascolare. Le attività ambulatoriali sono state sospese per lungo tempo a partire dall’esordio dell’emergenza sanitaria, e sebbene si sia dato grande slancio al ruolo della telemedicina, il follow-up di molti pazienti cardiologici è stato interrotto.
In uno studio Danese emerge un calo del 47% delle diagnosi di fibrillazione atriale di nuova insorgenza, durante un periodo simile (12 marzo-1 aprile 2020, rispetto all’anno precedente) [6]. Anche la popolazione soggetta a diagnosi risultava differente: individui più giovani e con più comorbilità (storia di insufficienza cardiaca, stroke e cancro), questo probabilmente grazie a una sorveglianza sanitaria maggiore su questo tipo di pazienti. Tuttavia nello stesso studio non si dimostra una significatività statistica nell’aumento degli eventi fatali correlati alla fibrillazione atriale. Si potrebbe ipotizzare che il fenomeno della mancata diagnosi si aggiunga ad un effettivo calo dell’incidenza.

In tal senso l’intensa copertura mediatica volta ad educare la popolazione verso comportamenti igienici adeguati, il distanziamento sociale e l’utilizzo delle mascherine potrebbero aver contributo alla riduzione della diffusione del virus influenzale sostenuta e alla minor incidenza di riacutizzazioni di scompenso cardiaco. Collateralmente però l’aver instaurato in alcuni uno stato di timore e diffidenza nei confronti dell’ospedale ha sollevato nuove problematiche che richiederanno in futuro l’attuazione di nuove strategie nel campo della prevenzione, diagnosi e cura. [7]

«Le complicanze cardiovascolari sono frequenti nei pazienti guariti da COVID-19, soprattutto in chi ha sofferto di una forma grave dell’infezione – spiega il prof. Gianluigi Condorelli, direttore del Dipartimento Cardiovascolare di Humanitas e docente Humanitas University -. Gli studi ci dicono che la metà dei pazienti ricoverati per COVID-19 con alti livelli di troponina (un indicatore di danno al tessuto cardiaco) presentano anomalie nella risonanza magnetica cardiaca anche a 6 mesi dalla guarigione».

In generale, il danno subito da organi e tessuti a seguito di un’infezione come COVID-19 può essere spiegato attraverso due fenomeni, che possono coesistere: l’aggressione diretta da parte del virus e il danno collaterale dovuto alla risposta immunitaria scatenata dal virus e poi rivolta – erroneamente – contro il tessuto.
«Il secondo fenomeno è in grado di spiegare il danneggiamento di tessuti che SARS-CoV-2 non ha attaccato direttamente – continua il prof. Condorelli -. Oltre a spiegare perché questo danno persista anche dopo l’infezione, cioè quando il virus non è più presente, come accade nel Long Covid».

SUGGERIMENTI INTEGRATIVI (8)

LE VITAMINE
Vitamina D e vitamine del gruppo B: sono quelle che più di altre sembrano avere un ruolo importante, non solo nella normale funzionalità organica, ma anche nei confronti di Covid. Nello specifico le vitamine del gruppo B, coinvolte nel metabolismo, nella sintesi di acidi nucleici e proteine, nei processi di immunoregolazione come cofattori per molti enzimi, svolgerebbero anche attività antiossidante e di regolazione del pathway infiammatorio. Entrando nel dettaglio: il deficit di tiamina (vitamina B1) sarebbe causa di neuropatia e neuroinfiammazione, la riduzione di vitamina B6, nella sua forma attiva, promuoverebbe l'infiammazione, la cobalamina (vitamina B12), un importante antiossidante, svolgerebbe un ruolo di spazzino nel rimuovere le specie reattive dell'ossigeno dai tessuti e di regolatore dei livelli di citochine.
La vitamina D, invece, sarebbe in grado di modulare la risposta immunitaria e di ridurre il rischio di infezione quando presente in adeguati livelli nel plasma, con un potenziale effetto protettivo verso possibili ulteriori danni ai polmoni ed endoteliale in pazienti ricoverati a favore della riduzione della mortalità da Covid-19; da cui la necessità, secondo i ricercatori italiani, di una sua integrazione preferibilmente quotidiana piuttosto che mensile. Infine vitamina E e C svolgerebbero entrambe azione antiossidante e metabolica, in particolare la vitamina C, se deficitaria, sarebbe coinvolta nell'immunità e nell’insorgenza di stanchezza, dolore e annebbiamento cerebrale.

ELEMENTI ESSENZIALI
Magnesio, zinco e selenio: ciascuno sembra avere avuto un ruolo nel contesto dell’infezione da Covid-19. In particolare: il magnesio, contribuendo al buon funzionamento dell’attività cardiaca e del tono vascolare, sembrerebbe in grado di prevenire vasocostrizione e formazione di coaguli di sangue, mentre la carenza potrebbe stimolare stanchezza e dolori muscolari associati al Long-Covid. Non è escluso anche un possibile impatto sulla biodisponibilità e attività della vitamina D.
Infine, l’integrazione di magnesio, combinata a selenio e coenzima Q10, potrebbe migliorare la funzionalità della tiroide: un fattore non trascurabile stante che le tiroiditi sono denunciate fra le possibili conseguenze di Long-Covid. Il selenio, dal lato suo, aiuterebbe a prevenire le risposte iper-infiammatorie associate all'infezione e a contrastare l'insorgenza di mutazioni virali. L’integrazione, oltre che ad essere potenzialmente importante per la tiroide, sembrerebbe benefica anche a livello intestinale e per la salute mentale. In ultimo lo zinco, importante per fattori di trascrizione ed enzimi, favorirebbe la riduzione dei livelli di stress ossidativo, modulerebbe l'immunità promuovendo la formazione di cellule T e B. Un suo deficit, infatti, sembra associarsi a malattia autoimmune e disfunzione endoteliale, come anche all’aumento del numero di cellule T-helper, fattori predisponenti per l'infiammazione.

BIBLIOGRAFIA
1. Basso C, Leone O, Rizzo S, De Gaspari M, Van Der Wal AC, Aubry MC, et al. Pathological features of COVID-19-associated myocardial injury: A multicentre cardiovascular pathology study. Eur Heart J. 2020;41(39):3827-35.
2. Dani M, Dirksen A, Taraborrelli P, Torocastro M, Panagopoulos D, Sutton R, et al. Autonomic dysfunction in “long COVID”: rationale, physiology and management strategies. Clin Med. 2021;21(1):e63–7.
3. The European Society for Cardiology. ESC Guidance for the Diagnosis and Management of CV Disease during the COVID-19 Pandemic.
4. De Rosa S, Spaccarotella C, Basso C, et al. Reduction of hospitalizations for myocardial infarction in Italy in the COVID-19 era. Eur Heart J. 2020;41(22):2083-2088.
5. Baldi E, Sechi GM, Mare C, Canevari F, Brancaglione A, Primi R, Klersy C, Palo A, Contri E, Ronchi V, Beretta G, Reali F, Parogni P, Facchin F, Bua D, Rizzi U, Bussi D, Ruggeri S, Oltrona Visconti L, Savastano S; Lombardia CARe Researchers. Out-of-Hospital Cardiac Arrest during the Covid-19 Outbreak in Italy. N Engl J Med. 2020;383(5):496-498.
6. Holt A, Gislason GH, Schou M, Zareini B, Biering-Sørensen T, Phelps M, Kragholm K, Andersson C, Fosbøl EL, Hansen ML, Gerds TA, Køber L, Torp-Pedersen C, Lamberts M. New-onset atrial fibrillation: incidence, characteristics, and related events following a national COVID-19 lockdown of 5.6 million people. Eur Heart J. 2020;41(32):3072-3079.
7. Cox ZL, Lai P, Lindenfeld J. Decreases in acute heart failure hospitalizations during COVID-19. Eur J Heart Fail. 2020;22(6):1045-1046.
8. Piazza M, Di Cicco M, Pecoraro L et al. Long COVID-19 in Children: From the Pathogenesis to the Biologically Plausible Roots of the Syndrome. Biomolecules, 2022, 12(4), 556. Doi: https://doi.org/10.3390/biom12040556



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