Ripartizione spese relative alle parti comuni
Domande ricorrenti in un condomino: come si devono ripartire esattamente le spese relative alle parti comuni dell’edificio? Risponde il nostro avvocato studio De Lellis.
Ciascun condomino è tenuto a contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni: l’elencazione di tali parti dell’edificio (che sono quelle destinate all’uso e al godimento comune) è contenuta nell’art. 1117 c.c. . Tale contribuzione è normalmente commisurata al valore della proprietà di ciascun condomino (art. 1128) , che è rappresentata nelle tabelle millesimali.
Il codice civile detta inoltre una particolareggiata disciplina delle spese relative alla conservazione ed al godimento di alcune parti comuni che, per la loro specifica natura, servono i condomini in misura diversa. Da tale differente godimento discende un differente regime di contribuzione alle spese.
In ogni caso la ripartizione delle spese può anche essere concordata su basi differenti da quella del valore della proprietà, purché la relativa delibera sia unanime. In tal caso la ripartizione non rispecchierà l’effettivo valore di ciascuna unità immobiliare ma avrà natura contrattuale, in quanto derivante da una manifestazione di volontà dei proprietari diretta ad applicare un criterio differente da quello strettamente patrimoniale.
Poiché ad ogni comproprietario è riconosciuto il diritto di godere delle cose comuni (art. 1118), il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuzione nemmeno rinunciando in via preventiva e definitiva al godimento delle stesse, poiché il diritto al godimento non costituisce un corrispettivo della contribuzione alle spese. Da ciò si ricava che il dovere di contribuzione ha natura reale, ossia deriva dalla stessa situazione di comproprietà, e non si potranno rifiutare i pagamenti per presunte inefficienze dei servizi condominiali.
Chi subentra nella proprietà di un immobile ubicato in un condominio (ad es. il nuovo acquirente) è tenuto in solido con il precedente proprietario al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso ed a quello precedente all’acquisto. Naturalmente è sempre salva l’azione di regresso nei confronti del debitore (vecchio proprietario) da parte di chi (nuovo proprietario) abbia versato tali contributi relativamente ad un periodo nel quale non aveva il godimento dell’immobile.
Per la riscossione dei contributi condominali dovuti in base al riparto approvato dall’assemblea, l’amministratore può agire giudizialmente al fine di ottenere dal Tribunale un decreto d’ingiunzione nei confronti del condomino insolvente (art.63 c.c). Tale decreto è provvisoriamente esecutivo nonostante l’opposizione giudiziale proposta dal debitore: ciò comporta che in base ad esso l’amministratore può iniziare l’esecuzione forzata sui beni del debitore.
Sarà onere di quest’ultimo (dopo aver provveduto al pagamento) introdurre una specifica domanda giudiziale per far revocare il decreto ingiuntivo già emesso, e dichiarare non dovute le somme già pagate all’amministratore, che dovranno essere restituite. Inoltre, in caso di mora nel pagamento dei contributi condominiali che si protragga per oltre 6 mesi, se il regolamento lo consente, l’amministratore può sospendere al condomino moroso l’utilizzazione di alcuni servizi condominiali. È importante sottolineare che non è consentito all’assemblea condominiale ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi (salvo il caso di deliberazione unanime dei proprietari), tranne nel caso di effettiva, improrogabile urgenza: in questa ipotesi sorge in capo al condominio l’obbligo di restituire ai condomini diligenti le somme che questi hanno versato a tale titolo oltre la quota di competenza, dopo aver recuperato dagli insolventi quanto dovuto per le contributi insoluti e per i maggiori oneri.
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