SOCIETA
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Sapienza e Conoscenza

E' morto un papa, un teologo conservatore che non si è sentito di rinnovare la struttura tradizionale ma ha scelto un successore in grado di iniziare. Riflessioni su tradizione società e religione in cambiamento continuo da duemila anni.

Non si può mai discutere di qualunque cosa, non si deve mai farlo astraendo dal contesto storico, il periodo nel quale i ragionamenti si sviluppano e poi si concretizzano in fatti: un errore che l’uomo moderno, decisamente più avanzato sulla via della conoscenza di quello antico o comunque precedente e quindi smisuratamente più orgoglioso, arrogante e meno incline a credere ciecamente, fa spesso. Troppo facile additare come falsità, menzogne, leggende, storie inventate le basi della tradizione. È vero, almeno in parte ma ogni leggenda, storia racconto trae origine da basi comuni spesso estremamente semplici.
Oggi già non è più ieri, il tempo scorre rapidamente le cose cambiano rapidamente rispetto a ieri ma la tradizione nasce in quel tempo passato che era ieri, si evolve lentamente e l’unica cosa che rimane costante è che quelli comunque diversi, quelli non conformi, i pensatori, gli emarginati di ogni epoca, in ogni epoca, cambiano man mano la loro definizione e il loro ruolo.

I capi, le gerarchie, per impedire cambiamenti troppo veloci e non gestibili hanno dovuto creare e poi, uno per uno, modificare le tradizioni che sono servite, e servono tutt’ora, per la necessità continua di avere guide, regole, modelli ed esempi da seguire che l’umanità, intesa come massa di uomini sempre più numerosa, dimostra.

Tradizione è un sistema sociale lentamente dinamico in cui le cose si ripetono quasi sempre uguali ma ogni volta esse cambiano un pochino, solo un pochino e solo dopo molto tempo le tradizioni stesse sono completamente cambiate senza che ci si sia potuti accorgere che stava succedendo, che è successo.
Nel tempo le tradizioni hanno indicato la strada migliore da seguire a uomini qualunque, a operai o guerrieri, contadini che in masse sempre più numerose, non abituate da tempi immemorabili a considerarsi individui capaci di pensare oltre e decidere da soli, ne hanno tratto certezza e continuità rassicuranti, legandoli strettamente sempre più ed emarginando ogni volta i dissidenti, i dissenzienti: i cosiddetti intellettuali, coloro che avrebbero voluto cambiare troppo rapidamente; il cambiamento repentino offende coloro che più lenti, seguono le regole tradizionali generando sentimenti di rivalsa, gelosia, invidia e rivolta.

Nella tradizione in evoluzione che costruisce la storia, sono nate e si sono formate organizzazioni per vivere meglio, i pari, le società, la politica o la religione: tutte le creature del mondo si organizzano per vivere meglio, compresi animali e piante che in questo modo si adattano ai cambiamenti.
Sono cambiati i modi di vivere, di organizzarsi, di pensare, sono cambiate le tradizioni, sono soprattutto cambiate le gerarchie e le loro organizzazioni.

La storia si evolve ma i pensatori rimangono sempre emarginati in modo tale da ridurre e rallentare il loro apporto innovativo. È il prezzo che si paga per redimersi dal ‘peccato originale’.
Esistono due condizioni fondamentali alla base dell’essere umano: la sapienza e la conoscenza.
La sapienza è istintiva, innata, inconsapevole; la conoscenza invece necessita dell’esperienza.
La prima è quella capacità che condividiamo con tutte le specie viventi, gli animali, le piante, quella sensazione che ci avverte di un pericolo, che ci spinge a temere i serpenti, i ratti, la notte, le cose che puzzano, le cose che strisciano, i gesti inconsulti: non sappiamo perché ma sappiamo di doverle evitare, temere, come sappiamo di dover accettare e sfruttare segnali positivi altrettanto incomprensibili. Sappiamo leggere il linguaggio del corpo, abbiamo l’empatia etc.
La seconda, la conoscenza è quella che si acquisisce con l’esperienza ed è alla base dello sviluppo del cervello e delle capacità umane: la certezza di non conoscere abbastanza e la necessità di una continua ricerca di un’ulteriore conoscenza, la curiosità insaziabile.
Su queste basi note ed espresse fin dagli albori dell’umanità si sono create le religioni, tutte, e sviluppate le filosofie; servivano a stabilire regole sociali e gerarchie.
In particolare, le tre grandi religioni monoteistiche di origine biblica hanno marcato la storia dell’evoluzione delle civiltà umane verso la modernità: hanno sentito il bisogno di porre un limite all’infinito della non conoscenza chiamandolo DIO.
Tra le tre maggiori, soprattutto quella cristiana ha creato i presupposti mitologici e leggendari per costruire la scala che ci può portare lassù lungo i gradini della storia.
Innanzi tutto, il regno dei cieli: una volta irraggiungibile e sede di eventi immani, incomprensibili che è la sede della sapienza, la dimora degli dèi, il luogo degli arcani.
Gli dèi risiedono in cielo, fuori della portata degli uomini.
Tutta la cultura simbolica e l’arte antica e medioevale ne illustrano i concetti fondamentali: nella Cappella sistina dipinta da Michelangelo Buonarroti il simbolismo raggiunge uno dei massimi livelli: la mano tesa di Dio all’uomo, nel tentativo di recuperarlo alla sapienza e l’uomo che per orgoglio la rifiuta ripiegando il dito, affidandosi ad Eva, sua compagna e complice, per raggiungere lo scopo; lei ci prova, non per orgoglio ma per inseguire una speranza e accontentare il suo maschio compagno cui è già, evidentemente, sottomessa.
Se Dio è l’essenza, la totalità infinita della sapienza, ne deriva che l’Eden, il giardino incantato dove la natura e gli uomini vivevano in perfetta armonia e simbiosi, rappresenta lo stato iniziale della evoluzione umana e anche l’obiettivo da raggiungere: far coincidere la sapienza con la conoscenza. Spiegarsi, comprendere il perché di tutto.
Purtroppo, l’uomo è una specie difettosa e orgogliosa che rifiuta di accettare la sapienza inspiegata, rifiuta di affidarsi ciecamente alla fede in DIO; cerca vie alternative, scorciatoie razionali e così facendo si emargina dalla naturalità e quindi viene scacciato dall’Eden acquisendo il peccato originale, l’esclusione dalla sapienza e la condanna alla ricerca ossessiva della conoscenza a furia di esperienza, spesso anzi, praticamente sempre, dolorosa.
Per gli insuccessi si deve attribuire la colpa a qualcuno; non può darla direttamente a Dio e neppure farsene direttamente carico quindi all’uomo serve un capro espiatorio.
Ecco allora Eva al fianco di Adamo che, meno orgogliosa di lui, accetta di provare ad accedere alla sapienza aggirando il dogma, il divieto, ascolta l’istinto: cerca solo di accedere alla sapienza tramite i frutti dell’albero della conoscenza, di condividerla con lui e conduce l’uomo al peccato originale.
Lei assaggia la mela e non può evitarne la contaminazione, è entrata in contatto con la Sapienza ma il peccato scatta solo quando avviene la condivisione.
Eppure, l’albero esiste, esiste la possibilità di accedere alla sapienza di Dio mediante la conoscenza offerta dai suoi frutti ma è interdetta alla natura che allora cesserebbe di essere sostanziale per diventare ideale.
Nessun essere vivente né animale o vegetale, l’albero stesso che porta i frutti, può accedervi e tantomeno l’uomo. Possono godere della sapienza, vivere e sopravvivere bene, perfettamente integrati e in perfetto equilibrio ma non esiste equilibrio persistente nella natura universale.
L’uomo fra tutti è dunque destinato a peccare ma l’uomo e la donna si diversificano ulteriormente rendendo lei maggiormente sensibile ai doni della sapienza che ha assaggiato e un comodo bersaglio per l’attribuzione della colpa.
Tutte le religioni principali monoteistiche sono maschiliste, anzi tutte, proprio tutte le religioni e questo poiché il potere richiede non solo sensibilità, astuzia e intelligenza che possono essere anche capacità femminili ma soprattutto forza bruta, violenza cieca, non esclusivamente ma essenzialmente caratteristiche associate al maschio che non accetta concorrenza.
La donna assume nella storia seguente, al massimo, il ruolo di consigliera, di eminenza grigia e soprattutto, di madre.
Su questo tutte concordano inevitabilmente: la maternità è femminile così come dipende dalle donne la sopravvivenza dell’intera specie umana. Le donne devono essere sottomesse al potere dell’uomo ma la femminilità deve essere esaltata e onorata.
Eva nel giardino dell’Eden assolve al duplice dovere di essere compagna dell’uomo nella disgrazia, di condividerne il dolore e lo sforzo ma garantisce anche, a Dio, un’ulteriore possibilità di riappacificarsi con l’umanità che continua a rifiutare la sua mano tesa. Potrà farlo attraverso una via umana, un messaggio condiviso e da condividere più semplice da comprendere.
Fino ad allora anche lo stesso, Dio maschile e autoritario, aveva usato la forza, la minaccia ma alla fine inutilmente.
La Trinità divina, lo Spirito santo che dispensa sapienza, la parola di Dio espressa da Gesù che comprende meglio la natura umana e rifiuta il ruolo di condottiero della rivolta israelita già pronta ad esplodere, di Messia, di Leader e paga per questo, per questa scelta, con la vita e l’abiura dei suoi seguaci: meglio un Barabba affidabile furfante, di un capo che rifiuta il ruolo e affossa le speranze di un popolo in rivolta.
Tutti i grandi capi designati a guidare le rivolte sono stati abbattuti quando hanno rifiutato o perso forza: l’uomo, il maschio, esercita e ammira, rispetta la forza.
A Maria è riservato il ruolo, esaltante e dolente, che da tempo immemorabile le viene riconosciuto: simbolo della natura sottomessa ma mai doma che esige una possibilità sempre rinnovata per la vita che sa generare.
Storia? Alcuni fatti forse, o più probabilmente forse solo in parte: storia rivista e riscritta, tramandata nella tradizione e come la tradizione, modificata molto lentamente ma certamente; simboli che, come tutti i simboli, sono stati utilizzati per generare e sostenere gerarchie di iniziati per la gestione del potere.
La donna, tuttavia, la madre, il principio materno capace di generare la vita, sia degli uomini che di tutta la biologia e perfino degli Dei è un messaggio, un simbolo talmente potente e antico che non può essere ignorato: se non può essere altro, allora deve essere dominata e sottomessa.
Ecco allora che nelle preghiere comuni rivolte a Dio il cattolicesimo quantomeno, inserisce quelle rivolte alla Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, l’intera espressione della divinità ma senza nominare, escludendola, la donna che viene però celebrata a parte, come se appartenesse ad un’altra categoria, una categoria minore o differente: se avessero potuto escluderne e vietarne l’adorazione spontanea degli uomini, i religiosi in ogni parte del mondo ed in ogni epoca, lo avrebbero certamente fatto.
L’idea di un Dio maschio, amorevole e comprensivo piuttosto che semplicemente misericordioso, fatica a far presa nell’uomo e l’uomo ha bisogno di questi sentimenti.
Per la storia si presenta un paradosso: senza la donna l’uomo è perduto.
Nella tradizione si innesta allora la necessità da parte di Dio di recuperarlo, l’uomo riottoso ma determinato: la natura non rinuncia ai suoi frutti se non quando ci è costretta e la natura stessa è l’idea di Dio. Un modo esiste, il suo sterminio: nella morte si torna alla natura; oggi lo definirebbero reset. Purtroppo, c’è sempre almeno un giusto al mondo e una donna al suo fianco.
Visto allora che l’offerta di pace salvezza e rientro nel giardino della natura e della sapienza, offerte dalla mano tesa di Dio, viene rifiutata dall’orgoglio maschile, allora viene fatta intervenire la figura della Madonna, la Sempre vergine, Madre del figlio di Dio.
Con l’appellativo di Madonna si recupera il simbolo immemorabile di maternità che coincide con la terra e la natura, l’unica capace di partorire una manifestazione, un’incarnazione di Dio stesso.
Maria, il nome umano attribuitole, nasce senza il peccato originale perché non ha bisogno di conoscere, essendo naturalmente sapiente.
Solo Dio può avere un figlio Dio anch’esso e non può nascere che da una Dea, ulteriore espressione dello stesso Dio, che si sforza di richiamare l’uomo alla sua natura essenziale.
Se esiste un unico Dio allora anche la Dea madre fa parte di lui, della sua mente sapiente e infinita.
La donna che partorisce il figlio di Dio deve essere vergine, incontaminata per definizione, non può essere stata sottomessa all’uomo essendone pari. Il suo corpo contiene l’essenza stessa di Dio ed è lo strumento per renderlo uomo.
Dogmi: verità di fede inconfutabili, unicamente accettabili. Entrambi i dogmi erano necessari, la verginità fisica e l’Immacolata Concezione in quanto l’evento si poneva come inconoscibile e inconcepibile, incredibile e dunque necessariamente oggetto di fede.
Cosa importa in fondo che Maria, la madre terrena di Gesù fosse o non fosse davvero fisicamente vergine? Che il padre di Gesù uomo, fosse o non fosse noto, oppure non fosse semplicemente?
Nulla, proprio nulla; è il simbolo che conta, la famiglia tradizionale terrena, umana, capace di moltiplicare le generazioni che contiene il messaggio, l’idea della possibilità di riscatto e sopravvivenza, di rientro nella grazia immortale di Dio.
La Madonna nasce senza peccato cioè sapiente, (Immacolata Concezione: un dogma di fede cattolica), dunque Dea essa stessa ma da sempre era stata considerata tale nei suoi vari aspetti, in ogni religione o credenza umana da quando l’uomo esiste, osserva e pensa.
La dea madre, la natura, la terra sofferente, e rigenerante sottomessa al desiderio e alla necessità dell’uomo; partoriente e Sempre Vergine, offesa, insultata, violentata, maltrattata ma adorato principio accomunante di fertilità e prosperità, amorevole, sempre pronta a perdonare, a soffrire, a rigenerarsi e ricambiare con nuovi doni, possibilità e opportunità, i suoi figli biologici.
Per spiegare la trasposizione di Dio in suo figlio anch’esso Dio occorreva una Dea.
Se una Maria storica non meglio precisamente identificata e presto accantonata, una donna che deve esserci stata e aver vissuto precedentemente oltre ad essere sopravvissuta a lungo a Gesù, fosse una persona realmente esistita, a lei è toccato un destino crudele in vita, come a tutte le donne ma nulla e a nessuno importa dei suoi destini mortali; avesse avuto una vita, una famiglia, altri figli, fosse di genia importante o meno: lei o Giuseppe, senz’altro non un povero falegname (se no i suoi altri figli non sarebbero stati così importanti come furono storicamente, oltre che più vecchi di Gesù. Quello che importava, ed ecco il dogma, era l’identificazione della Dea fattasi umana per generare un figlio umano di Dio.
Questo fa infuriare gli scettici moderni che cercano la conoscenza, la prova storica di eventi, certamente, almeno parzialmente, immaginari e in fondo senza vera importanza.
Entrambi, Gesù foglio di Dio e Maria, la Madonna madre di Dio, alla fine della loro missione terrena sono ascesi al cielo rientrando nel territorio incontaminato delle idee iniziali, nella mente di Dio appunto, un’unica infinita unità ideale e la storia in ogni religione, si è liberata di loro conservandone e onorandone però il messaggio e il simbolismo oltre che gli interpreti autorizzati del ‘Verbo’ quale che sia.
Lo hanno usato sì e anche male, per secoli e questa è storia concreta ma l’uomo sopravvive anche a loro e modifica la tradizione: si spera in meglio.
Miti, leggende, storie, racconti, tradizioni create ad arte e la storia, quella vera, semplice successione di fatti concreti, soprattutto quando si tratta di fede passa assolutamente in secondo piano essendo l’unica cosa che può essere tramandata e insegnata, ricordata, imparata ma i cui contenuti possono essere riscritti, modificati, esaltati o misconosciuti in continuazione dalle gerarchie dominanti nel contesto temporale, secondo bisogno e necessità che sono le ultime due parole, indispensabili e necessarie, all’evoluzione dell’uomo. Bisogno e Necessità.
I santi e i martiri, i profeti, spogliati dell’aureola dimostrano una storia umana spesso miserrima e minimale che con la santità poco o nulla c’entra ma indorati, assumono un significato differente e simbolico di guida spirituale o di protezione intercessiva alla portata di tutti: per questo sono necessari, in alcune se non in tutte, le tradizioni.
L’inferno e il purgatorio non erano invece necessari prima del cristianesimo e del cattolicesimo in particolare, ma come giustificare una condizione ancora peggiore della vita grama e fornire una possibilità di speranza e riscatto, senza innescare rivoluzioni umane a contrasto del potere?
Pane per i fedeli legati alla tradizione e dalla tradizione.
Nulla di quello che accade in vita può essere peggiore di quello che aspetta gli uomini rei di peccare, non contro Dio perché l’uomo lo ha già fatto, ha già commesso l’unico peccato possibile, la ricerca della conoscenza e della sapienza originale e già ne subisce la condanna ma di peccare contro le istituzioni terrene che il potere e Dio ritengono di rappresentare.
Occorrono minacce di punizione e offerte di premiazione ma anche l’offerta di una via percorribile di riscatto, agevolata dalla preghiera e dall’osservanza degli altri: il purgatorio che essendo riservata alla vita dopo la morte richiede soprattutto integrare e poi separare il corpo dall’anima per farlo.
La domanda che i teologi, cioè gli organizzatori del corpus di regole, norme e leggi che costituiscono la tradizione di fede in corso di modifica e aggiornamento è di fondamentale importanza.
Il corpo umano può contenere l’anima e l’anima essere eterna per subire queste condizioni? Chi impone le condizioni?
La risposta è ovvia: la Chiesa (tutte ma almeno quella cristiana e poi cattolica) per ordine di Costantino Imperatore, dunque per motivi strettamente politici, su mandato diretto ‘autoassunto ed autoaffermato’ di Dio.
La raffinazione della tesi sarà selezionata e definita poi nei ranghi e nelle istituzioni, dalle lotte intestine per il potere terreno che per secoli ne dibatteranno scontrandosi e dai concilii, storicamente accertati che andranno a definire quale chiesa cristiana starà al vertice.
Fin qui la storia ma il problema rimane ed è di giustificare la presenza e l’immortalità dell’anima per legare la chiesa a Dio stesso e l’uomo alla chiesa.
Dunque: se un uomo, o una donna possono contenere l’intera essenza di Dio o della Dea e avere un figlio incarnato che le contiene entrambe, essendo l’essenza unica della divinità, allora i figli di Dio, gli uomini in particolare, che sono quelli che poi contano ai fini della politica e del potere mentre il resto dei viventi non conta, sono creati a immagine e somiglianza divina e in grado di contenerne l’essenza; devono quindi poter portare una scintilla, una scheggia di divinità che permetta loro di raggiungerne la sapienza almeno dopo la morte, ritornando all’origine.
Allora l’anima che essendo divina, invisibile, impercettibile ma sensibile, deve essere anche immortale e avere vita propria rispetto il corpo mortale da cui è tuttavia contaminata in vita.
Ci pensa lo Spirito santo a distribuirla quella scheggia di sapienza innata che ogni uomo possiede pur avendola persa, nella sua interezza per orgoglio, a differenza delle altre creature, e che per questo è condannato a ricercarla da allora tramite la conoscenza, affannosamente, anelando a riunirsi alla totalità unificante del creato.
L’anima fa dell’uomo una specie prediletta e superiore alle altre, simili pur se non uguali almeno biologicamente. Il figlio prediletto è sempre il figliol prodigo, quello che se ne è andato e desidera tornare.
Va bene per Gesù figlio di Dio, Dio lui stesso, interamente divino che ascende al cielo raggiungendo la dimora delle idee e della divinità dove regna la sapienza innata; va bene anche per la Madonna che distinta da Maria, segue la stessa sorte avendo la medesima origine e provenienza, entrambi senza peccato originale, dunque sapienti e in questo solo, diversi dal resto dell’umanità durante il soggiorno in terra; va bene anche per gli uomini che conservano così il legame e la discendenza con la divinità.
L’anima, dunque, esiste ed è immortale e ritornerà, prima o poi dopo la morte, in grembo a Dio da dove è scaturita.
Più difficile è spiegare ad un uomo semplice, probabilmente ignorante e sottomesso, schiavizzato e sfruttato o ad una donna relegata al ruolo di madre e di sposa obbediente e remissiva ma regina della casa, la realtà del purgatorio e quella dell’inferno.
Ci può stare dunque la necessità e la possibilità di un purgatorio: tutto sommato è solo un percorso aggiuntivo, un’inezia di fronte all’eternità che contiene tuttavia il messaggio della solidarietà necessaria, della disponibilità degli altri fedeli e credenti, di tutti loro, per la salvezza delle anime penitenti; non contrasta anzi esprime la stessa necessità prioritaria, umanamente condivisa e necessaria per vivere e sopravvivere sulla terra dove la vita continua ad essere perlopiù grama; più difficile sostenere la necessità dell’inferno.
Per l’affermazione nei secoli contrastati del potere sacro e dell’investitura totale di rappresentanza delle gerarchie ecclesiastiche è stato uno strumento utile facile, anzi elementare: alleggiarlo per ottenere la sottomissione completa e passiva dei fedeli. Molto più difficile spiegarne, giustificarne la durata eterna.
Non sono Lucifero e gli angeli cattivi a creare l’ostacolo anzi, sono stati necessari e utilizzati per spiegare il desiderio costante di rivolta degli uomini e il destino riservato ai rivoltosi ma Perché Dio dovrebbe punire sé stesso se le anime perdute sono comunque sue parti?
Qualcuno potrebbe sostenere che nell’essenza divina coesistono in equilibrio il bene e il male che si riflettono sui comportamenti umani, obiezione che riprenderebbe e giustificherebbe concetti arcaici e pagani che la religione cristiana e poi cattolica hanno storicamente inglobato come tutto ciò che era preesistente, digerito e integrato nel loro essere di struttura tradizionale ma non usato anzi nascosto.
Altri potrebbero mettere in dubbio l’integrità di Dio stesso perché se esiste equilibrio, esistono anche lotta e confronto che sono però caratteristiche della conoscenza dunque umane, dunque, del peccato originale e non della sapienza che è divina; se potessero spiegarlo per l’uomo non facilmente potrebbero per Dio che essendo sapiente, non può esserne contaminato.
Ne deriva che Dio non sarebbe necessariamente buono, solo misericordioso o potrebbe soltanto decidere di esserlo accettando in sé stesso la contraddizione come parte della sapienza; allora l’uomo assomiglierebbe sempre di più a Lui giustificandone la scelta di rappresentarsi in forma umana per riportarlo alla sapienza infinita e ribadendo il valore assoluto del messaggio cristiano.
È ciò che succede oggi periodo e contesto storico in cui la razionalità prevale nel condurre la ricerca dell’uomo; contemporaneamente la forza del potere tradizionale è in forte calo e le gerarchie reagiscono con altrettanta forza e violenza.
Le religioni attuali sono generalmente conservatrici come ogni tradizione, integraliste e fanatiche nella loro difesa; forse è il momento migliore per quella cattolica dopo millenni di abuso: un momento di pentimento, di riflessione e di riscoperta del messaggio cristiano di rifiuto della forza a favore della solidarietà e della condivisione, del dialogo.
Conclusione: la sapienza, istintiva, innata, inspiegabile e inspiegata esiste, lo sanno tutti e dunque esistono condizioni che richiedono fede o rifiuto fideistico, senza spazio per ulteriori discussioni ma non è nella natura umana.
L’uomo come specie biologica ha bisogno di conoscere, di espandere la sua conoscenza dei fatti e delle cause ma è limitato e dunque deve procedere per gradi impiegando molto tempo e impegno: questo è il suo purgatorio o forse, se vogliamo accettarne ed estenderne il concetto punitivo, dovendo sopravvivere per farlo il suo inferno eterno, la coscienza della possibilità di estinguersi senza aver raggiunto l’obiettivo.



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